A 25 anni dalla morte di Re Baldovino

Il suo modello: un re che si sacrifica per il suo popolo

Figlio del re del Belgio Leopoldo III e della principessa Astrid di Svezia, Baldovino nacque a Bruxelles il sette settembre del 1930 e sin dall’infanzia la sua vita fu segnata dalla sofferenza a partire da quando, a soli cinque anni, perse la madre in seguito ad un incidente stradale e Leopoldo affidò l’educazione dei tre figli Giuseppina Carlotta, Baldovino e Alberto, ad una giovane olandese a cui Baldovino si affezionò profondamente. Nel 1940, all’inizio della guerra, la famiglia reale si rifugiò in Francia, ma, dopo la capitolazione dell’esercito belga, essa dovette fare ritorno in Belgio dove venne tenuta prigioniera dei Tedeschi nel castello di Laeken dal 1940 al 1944. In seguito, Baldovino e il resto della famiglia furono deportati dapprima in Germania e poi in Austria dove vennero liberati dagli americani solo nel maggio del  1945. Anche dopo la fine della guerra, le peregrinazioni dei giovani figli del re Leopoldo non conobbero tregua in quanto il clima politico belga non permetteva al re di riprendere le proprie funzioni e, nel settembre del 1945, egli raggiunse la Svizzera, dove rimarrà con i figli fino al 1950. Tornato in Belgio, un referendum gli accordava una vasta maggioranza favorevole alla ripresa delle prerogative reali, soprattutto da parte delle Fiandre; tuttavia, la Vallonia non era del medesimo avviso e, davanti alle sommosse cruente organizzate contro di lui, Leopoldo, piuttosto che vedere i Belgi affrontarsi gravemente per causa sua, preferì nobilmente abdicare in favore del figlio il sedici luglio del 1951. Baldovino divenne così il quinto re dei belgi all’età di ventuno anni e lo stupendo esempio di un re che si sacrifica per il suo popolo rimarrà profondamente impresso nel suo cuore.

Gli anni del regno di Baldovino videro il Belgio impegnato in decisive questioni interne tra cui la secolare questione che contrapponeva i sostenitori della scuola cattolica e quelli della scuola pubblica e, soprattutto, la progressiva trasformazione del Belgio in uno Stato federale proiettato verso una politica comunitaria europea. Nel 1976, con i fondi raccolti durante i festeggiamenti per il suo venticinquesimo anno di regno, fu istituita la “Fondazione Re Baldovino” con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della popolazione sul piano economico, sociale, culturale e scientifico. Sul piano internazionale, Baldovino affrontò e promosse da subito la fondazione della CECA nel 1951 e della CEE nel 1957. Ma vero rivelatore della sua personalità fu il primo viaggio nel Congo, allora colonia belga, nei mesi di maggio e giugno 1955 dove fu accolto da una folla esuberante e traboccante di entusiasmo. Forte di quella manifestazione di calore, Baldovino abbandonò il suo abituale riserbo e, di ritorno in Belgio più fiducioso nelle proprie capacità, iniziò a sfoggiare un sorriso che conquisterà irresistibilmente i suoi compatrioti. Poco tempo dopo questo viaggio, annunciò l’intenzione di accordare l’indipendenza al Congo e il trenta giugno del 1960 assistette personalmente alla cerimonia d’indipendenza a Leopoldville. Quattro anni dopo, si recò negli Stati Uniti dove la sua giovinezza ed il suo fascino conquistarono gli americani ed il successo del viaggio fu totale. Nel panorama internazionale, il re Baldovino era già in vita reputato un grande sovrano, tant’è che nel 1960 il re d’Italia Umberto II, che era anche zio di Baldovino in quanto la regina Maria Josè era sorella di Leopoldo III del Belgio e che è a buon diritto da considerarsi un altro grande sovrano cattolico di primo piano nell’Europa del XX secolo, lo nominò Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, massima onorificenza sabauda. E ancora più significativa in questo senso fu la sua nomina da parte del papa a Cavaliere dell’Ordine Supremo del Cristo, la più alta onorificenza pontificia riservata esclusivamente a quei Capi di Stato cattolici distintisi per particolari meriti verso la Chiesa e la Santa Sede.

Il miracolo di Fabiola

Un giorno di febbraio del 1960, Baldovino passeggiava nel parco del castello reale di Laeken, vicino a Bruxelles, in compagnia di Monsignor Suenens, futuro Arcivescovo di Malines e Cardinale. Nel corso della al solito cordiale e informale chiacchierata il prelato fece qualche riferimento a Lourdes suggerendo al re di recarvisi un giorno in incognito e di mescolarsi alla folla dei pellegrini, ma il re rispose prontamente: “Torno appunto da Lourdes: ci ho passato la notte in preghiera nei pressi della Grotta ed ho affidato a Nostra Signora di Lourdes l’incombenza di risolvere il problema del mio matrimonio”. Grazie allo stesso prelato il re entrò in breve tempo in contatto Veronica O’Brien, l’allora direttrice della Legione di Maria, a cui fece pervenire un invito protocollare per il diciotto marzo 1960 concedendole un’udienza che sarebbe durata ben cinque ore. Tra le tante impressioni che si scambiarono, una fu annotata con particolare attenzione da Baldovino allorché ella gli disse: “Maria è immensamente più interessata al vostro avvenire di quanto possiate esserlo voi medesimo”. Baldovino le confessò il suo desiderio di sposare una donna che condividesse le sue profonde convinzioni religiose. Durante la notte seguente, Veronica percepì una voce interiore che le diceva: “Và a proporre al Re di recarti in Spagna per dissodargli il terreno” e la mattina, durante la preghiera, Veronica capì che l’appello veniva veramente da Dio; al che, sorpreso e commosso, il re le accordò i pieni poteri in materia. Veronica divenne presto valida consigliera del Re non solo sulla questione matrimoniale tanto che gli scriverà un giorno: “Il lavoro più duro incomberà a voi, quello di essere santo al cento per cento, ad ogni respiro. Il che significa: amare ognuno dei figli della vostra grande famiglia. E amare significa andar loro incontro, parlar loro, dedicarsi a loro senza riserve”. Veronica iniziò un’inchiesta sull’apostolato nell’aristocrazia spagnola e ben presto, venne introdotta presso una giovane donna di trentadue anni, Fabiola de Mora y Aragón, piena di vita, d’intelligenza, di brio, di rettitudine, di luminosità, aggraziata e generosa che si occupava instancabilmente dei malati e dei poveri. Quando s’incontrarono per la prima volta, Veronica ebbe immediatamente l’intuizione di aver trovato la persona che cercava. “Come mai non si è ancora sposata?” le chiese. Rispose la contessa: “Finora non mi sono innamorata. Ho messo la mia vita nelle mani di Dio, mi abbandono a Lui, forse Egli mi prepara qualcosa». L’impressione di Veronica fu confermata allorché Fabiola le fece visitare il suo appartamento ed ella rimase sconvolta nel riconoscere, appeso al muro, un quadro che aveva visto in sogno la notte precedente. Il fidanzamento ufficioso fra il Re Baldovino e Fabiola si svolse proprio a Lourdes, l’otto luglio 1960. “Quel che mi piace di più in lei – dirà Baldovino – è la sua umiltà, la sua fiducia nella Santissima Vergine e la sua trasparenza. […] So che essa sarà sempre un grande incentivo ad amare sempre più Dio”. Il matrimonio fu celebrato il successivo quindici dicembre nella cattedrale di Bruxelles, la cerimonia fu trasmessa dalla televisione e fu la prima volta per un matrimonio della casa reale belga.

“Lasciate che i piccoli vengano a me”

Purtroppo la felicità di questo matrimonio non fu mai coronata dalla nascita dei pure tanto desiderati figli ma Baldovino sapeva che nulla accade se non è voluto da Dio: “Ci siamo interrogati sul senso della nostra sofferenza e, a poco a poco, abbiamo capito che il nostro cuore era più libero per amare tutti i bambini, assolutamente tutti i bambini». A titolo di esempio, è significativo raccontare un episodio: nel 1979, i Sovrani ricevettero a Laeken settecento bambini tra cui, in un angolo, c’era un gruppo di bambini handicappati; ebbene, di quel giorno il re conserverà un ricordo indelebile che così descriverà nelle sue memorie: “Porto un piatto pieno di caramelle ad una piccola che riusciva difficilmente a controllare la sua mano. Con immense difficoltà, riesce ad afferrare una caramella, ma, con mia grande sorpresa, la dà ad un altro bambino. Per un bel po’, senza mai tenersene neppure una, ha distribuito i confetti a tutti i bambini sani che la guardavano sbalorditi […]. Che mistero d’amore in questi esseri fisicamente deformati”. Al termine di tale insolita udienza, Baldovino pronunciò un discorso da cui traspare la sua sincera e accorata ansia per un futuro migliore, è davvero emozionante sentire come un re, un Capo di Stato di quel livello sapeva rivolgersi con candore e semplicità a dei bambini: “Il mondo ha bisogno d’amore e di gioia. Voi siete capaci di darli. È presto detto, ma è una cosa molto difficile. Bisogna esercitarsi e ricominciare tutti i giorni. Facendolo, vedrete cambiare le cose attorno a voi, per esempio, aiutando i vostri genitori, esprimendo loro il vostro affetto, li renderete più felici, darete loro voglia di fare la stessa cosa fra di loro e nei riguardi di altre persone. E così, un po’ alla volta, i rapporti fra la gente diventeranno migliori. Provate, perseverate nello sforzo di amare attraverso gli atti. Non scoraggiatevi mai. Se lo farete, ve lo ripeto, vedrete cambiare perfino la faccia delle persone attorno a voi, e, tutte le sere, proverete nel cuore una grande gioia. Diventate costruttori d’amore”.

La vocazione alla carità nella regalità

La preghiera occupava il primo posto nella composizione dell’orario delle giornate del re ed egli vi si dedicava abitualmente all’inizio della mattinata. La Messa quotidiana era per Baldovino il momento privilegiato della giornata tanto che, in tutti i paesi del mondo in cui lo conduceva la sua carica istituzionale, chiedeva che si trovasse un sacerdote per celebrarla. Eppure, l’aridità spirituale non risparmiò nemmeno lui come testimoniano i suoi scritti: “Era quasi sempre difficile rimanere immobile a contemplare Dio nel silenzio e l’aridità della fede”. Baldovino viveva completamente al ritmo della liturgia annotando spesso sull’agenda un pensiero tratto dai testi della Messa, si accostava regolarmente al sacramento della Penitenza e spesso, con la regina, passava un fine settimana di ritiro spirituale. Il colloquio con il Signore, che costituiva la sua preghiera, lo aiutava a porsi in modo veramente cristiano di fronte alle persone che incontrava: “Oggi, proverò ad essere particolarmente attento a tutti coloro che il Signore metterà sulla mia strada”. E, soprattutto, gli permise di sintetizzare l’essenza della vocazione di re in questo modo mirabile: “Dio non ci domanda di essere periti tecnici nei campi più diversi, dalla musica alla politica, ma, guidati dal suo Spirito, di amare gli uomini con il suo Amore, di guardarli con i suoi occhi, di ascoltarli con i suoi orecchi, di parlar loro con le sue parole. Signore, noi, io e Fabiola, lo desideriamo, con tutta la nostra anima”. Conscio dei limiti che la Costituzione imponeva al suo potere, il Belgio, infatti, è una monarchia parlamentare dove il Re non può esprimere pubblicamente le sue opinioni senza l’approvazione del Parlamento, esercitò un’influenza sulla vita politica più attraverso consigli e avvertimenti che attraverso decisioni ma la sincera attenzione alle vicende del suo Paese lo caratterizzò per tutti i suoi quarantadue anni di regno.

Baldovino fu un uomo profondamente credente e tutta la sua vita fu consacrata alla sua fede cristiana e alle sue convinzioni religiose che non accettò mai di compromettere giungendo anche all’eroico atto per il quale giustamente è passato alla storia. Nel 1989 vista la sua ritrosia a firmare una legislazione favorevole all’aborto approvata dal Parlamento, fu temporaneamente esautorato dai poteri regali. Sapendo che avrebbe un giorno dovuto render conto a Dio delle sue decisioni, egli scrisse al Primo Ministro: “Questo progetto di legge solleva in me un grave problema di coscienza […]. Firmando tale progetto di legge […], giudico che assumerei inevitabilmente una certa corresponsabilità. E questo, non lo posso fare”. Rispondendo alla lettera del re e per uscire dal vicolo cieco in cui si trovava il governo, il Primo Ministro fece appello ad un articolo della Costituzione belga il quale prevede che il re possa, in casi estremi, trovarsi nell’impossibilità di regnare. E il tre aprile, il Consiglio dei Ministri constatò che tale impossibilità era più reale che mai. Lo stesso Consiglio agì dunque come se non ci fosse più il Re e promulgò la legge rifiutata da Baldovino. Ma perchè il Re fosse reintegrato nelle sue funzioni si rendeva necessario un voto del Parlamento; il cinque aprile, avvenne che il successivo voto del Parlamento permise a Baldovino di riprendere il suo posto di Capo dello Stato. La versione che vorrebbe liquidare questo evento epocale come una “autosospensione” del re, anche se molto diffusa, si rivela così essere una calunnia priva di alcun fondamento. Nelle nostre società, sembra che il voto di una maggioranza non possa essere in alcun modo discusso e che esso sia sufficiente per rendere legittima una legge ma non è così e, nella sua enciclica Evangelium vitæ, pubblicata il 25 marzo 1995, Papa Giovanni Paolo II ha eloquentemente ricordato che il voto democratico non costituisce un assoluto e fu lo stesso papa che, ricordando quell’evento durante la sua visita in Belgio, così si espresse a proposito di Baldovino: “È stato un grande custode dei diritti della coscienza umana, pronto a difendere i comandamenti divini, e specialmente il quinto Comandamento: Non uccidere!, in particolar modo per quanto riguarda la tutela della vita dei bimbi non ancora nati”. Dom Antoine Marie osb dell’Abbazia di San Giuseppe presso Flavigny così scrive in una delle sue più famose lettere sui Santi e personaggi in fama di santità parlando di quella sofferta decisione: “San Benedetto ricorda spesso, nella sua Regola, la realtà futura del giudizio di Dio. È questo un pensiero salutare, atto ad illuminare i nostri cuori ed a guidare le nostre vite. Il re dei belgi, Baldovino I, credeva a questa verità fondamentale. Dopo aver rifiutato di firmare la legge sull’aborto provocato votata dal Parlamento, scriveva nel suo diario intimo: Mi sono imbarcato da solo, con la mia coscienza e con Dio”. Tale nobile rifiuto non può che essere il coronamento di una lunga ascensione, spesso dolorosa, sulla via della santità e solo la fedeltà ai doveri del proprio stato nelle singole azioni ordinarie ha potuto preparare il re a questo atto esemplare che manifesta una coscienza retta, perfettamente docile alla voce di Dio. E la coscienza, scrive San Bonaventura, “è come l’araldo e il messaggero di Dio; quel che Egli dice, essa non lo prescrive da sé, ma lo prescrive come proveniente da Dio, come fa un araldo quando proclama l’editto del re”.

“Il re mi ha ascoltato. Ed è stato il solo”

Baldovino riprese le sue funzioni al servizio del paese ma da dieci anni, ormai, la sua salute si era deteriorata ed egli sentiva che la morte si avvicinava. Nel 1991 e nel 1992, subì due interventi chirurgici, di cui uno a cuore aperto. Il ventun luglio 1993, giorno della festa nazionale, si rivolse affettuosamente ai suoi concittadini e, poco dopo, lasciò il Belgio per recarsi in Spagna a riposare ma il trentun luglio del 1993 il Re morì per un attacco cardiaco mentre, appunto, era in vacanza a Montril in Spagna. Fu il fratello  Alberto che gli succedette sul trono il nove agosto con il nome di Alberto II. Ai funerali erano presenti numerosi Capi di Stato provenienti da tutto il mondo. La cerimonia si svolse in modo sobrio e semplice, come aveva chiesto Fabiola per rispettare la volontà del defunto marito. L’allora Capo dello Stato italiano Scalfaro di ritorno dal funerale commentava: “Sono ancora toccato, e l’ho scritto in una lettera alla regina Fabiola, dall’ incontro, ufficiale e poi privato, che ebbi pochi mesi fa con Baldovino. Aveva una ricchezza umana e una ricchezza religiosa profonde e semplice, senza alcuna pesantezza. Un uomo assolutamente eccezionale”. La testimonianza più grande la diedero, però, i numerosissimi belgi che lo accompagnarono nel suo ultimo viaggio recando cartelli con la semplice ma eloquente scritta “Grazie, maestà” in tutte le lingue, le tre lingue, francese, fiammingo e tedesco, che il sovrano utilizzava alternandole sapientemente nei suoi discorsi per manifestare equidistanza e rispetto per le tre comunità del Paese. Egli difese sempre l’unità del Paese, ma non poté impedire l’insorgenza di una frontiera linguistica poiché il Belgio è composto da tre regioni distinte ognuna con la propria lingua. Il card. Danneels pronunciando l’omelia esequiale elogiò per la sua “carità politica” un uomo che, “credete, ha sempre voluto servire la verità ed ha sofferto per il suo popolo”. Poi proseguì: “Verrà un giorno che la straordinaria dimensione di re Baldovino verrà rivelata. E allora il mondo scoprirà quanto sia stato giusto. Abbiamo perso un re, ma Dio ci ha donato un intercessore. Maestà, pregate per noi”. Al termine della celebrazione, al microfono si avvicendarono alcuni amici e i molti beneficati dal sovrano i quali portavano la loro testimonianza di gratitudine prendendo spunto dai problemi della società civile che tanto erano cari a Baldovino come il dramma degli immigrati e la tragedia dell’Aids. Una menzione particolare meritano l’intervento del giornalista Chris de Stoop, colui che attirò l’attenzione del sovrano per aver fatto un’inchiesta sulla tratta delle donne, e le parole di una delle vittime di questo mercato della prostituzione, la filippina Luz E Oral, la quale ascoltava in lacrime il giornalista che al suo fianco leggeva la testimonianza che lei stessa aveva scritto: “Il re si batteva contro questo commercio del sesso. Ora noi abbiamo perso un amico. […] Vengo da Manila, mi era stato promesso un buon lavoro in Europa. Ma qui alcuni uomini belgi ci hanno chiuso in un club e costrette a prostituirci. Abbiamo pianto, ma nessuno ci ha aiutato. Ci trattavano come schiave. Sono fuggita, ma la polizia mi ha arrestata. L’ anno scorso il re e’ venuto a trovarci ad Anversa. Eravamo in cinque. Il re mi ha preso la mano e mi ha ascoltato. Ed è stato il solo”. Infine, le note della “Brabanconne” hanno accompagnato la bara di Baldovino nella cripta della chiesa di Nostra Signora di Leaken, dove riposano gli altri sovrani del Belgio.

Così riassumeva i tratti di questa grande figura dell’Europa del ‘900 il cardinale Danneels, sempre nell’omelia per i funerali del re il sette agosto 1993: “Il Re Baldovino aveva un segreto: era il suo Dio, che amava follemente e da cui era tanto amato. Sotto il fogliame delle attività pubbliche e politiche, scorreva una sorgente tranquilla e nascosta: era la sua vita in Dio […]. Mentre il Re serviva gli uomini, non cessava di pensare a Dio. In ogni viso umano che gli si presentava, ravvisava il viso di Cristo”. E Papa Giovanni Paolo II l’ha definito “re esemplare” e “fervente cristiano” perchè il suo esempio ancora oggi non può che incoraggiarci ad operare per la gloria di Dio nel corso delle nostre azioni quotidiane. Durante la sua seconda visita in Belgio nel 1995, il papa pregò la Vergine Maria dicendo: “Ti ringraziamo anche, Madre della Grazia divina, per il Re Baldovino, per la sua fede incrollabile e per l’esempio di vita che ha lasciato ai suoi concittadini e a tutta l’Europa. Ti ringraziamo per la forza che ha dimostrato nella difesa dei diritti di Dio e dei diritti dell’uomo e in particolare del diritto alla vita del nascituro. Ho avuto la gioia di conoscere la profondità dello spirito di Re Baldovino, la sua eccezionale e ardente pietà cristocentrica e insieme mariana. Come non ringraziare lo Spirito Santo per ciò che ha compiuto nell’anima del Re defunto? Che grande esempio ci ha lasciato! Che grande esempio ha lasciato ai suoi concittadini!.”

Don Emanuele Borserini

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