E’ di fondamentale portata e di necessario metodo quanto si va serenamente sostenendo tra noi nel dibattito sulla forma istituzionale dello Stato e sul suo eventuale futuro ordinamento.
Gran parte dei monarchici e dei legittimisti vive di ammirevole lealismo romantico, chiuso però spesso in un recinto ideale rispettabile ma asfittico a volte e che appare inamovibile per presunta fedeltà.
La Monarchia è un Istituto, un simbolo sacro ed unificante, con delle proprie prerogative, dei limiti concreti, legami e regole non solo immanenti.
Non è un Moloch, come pretende essere questa repubblica.
La società ottocentesca, comunque la si voglia ripensare, era molto diversa, opposta all’attuale nei costumi e nella spiritualità comune rispetto alla più ampia e direi universale decadenza odierna che sovverte e colpisce tutto, comprese le Monarchie che sopravvivono, più o meno dignitosamente.
Ripensare alla forma del Vertice dello Stato ed alla sua trascendenza, la Monarchia, appunto, è anzitutto ripensare la Società e l’Uomo.
Restaurare od instaurare, come in Spagna, è bene ma non certo tutto.
Può essere un punto d’arrivo ma anche di partenza.
Chi scrive da quasi mezzo secolo, con scelti sodali e pur avendo avuto non pochi e non lievi incarichi pubblici, sostiene che la tradizione italiana erede di quella romana, è una ed al contempo molteplice, che il moderno giacobinismo erede delle teste mozzate ai Re, tende invece a livellare nell’indistinto supermercato dei consumatori anonimi e sradicati.
Riconosco da sempre la storia ed i meriti di Casa Savoia, non solo quelli centenari ma anche quelli millenari, e senza limitare la mia ricerca all’apologia acritica.
Ciò che poteva essere la giusta aspirazione, lo era e lo è, e cioè l’Unificazione Italiana partita con le buone premesse del 1848, buone non ottime, compiendosi nel 1860-70 e raggiungendo l’obiettivo attraverso l’applicazione del modello centralista, a volte ingannevole e con taluni zelanti esecutori violenti.
Compimento, questo sì, di una aspirazione che già Dante aveva mirabilmente indicato per l’Italia.
A proposito rileggere il De Monarchia è un bene per tutti non eludibile.
E tuttavia si poteva, specie al Sud e nei confronti dell’identità cristiana e non solo della Chiesa, avere altra prospettiva attuativa e solidale con riguardo e considerazione di una storia che pure i Savoia con Vittorio Amedeo II Re di Sicilia avevano pienamente rispettato.
L’unità organica è sempre somma di diversità, non certo sinonimo di omologazione e tentativo di sottrazione di identità, sia pure per un nobile fine.
La Prima Guerra Mondiale che pure poteva evitarsi conseguendo peraltro i medesimi e giusti obiettivi, rappresentò in atto la prima vera trincea di solidarietà e concordia fra italiani e ne cementò lo spirito.
Ho inoltre sempre creduto e scritto che poi con il 1929 si segnò con la pacificazione non solo fra Stato e Chiesa, il momento più alto della Dinastia, ormai in pieno legittimata.
Le tragedie della Seconda Guerra Mondiale non possono farci dimenticare gli Atti della Luogotenenza e del breve Regno di uno dei più grandi sovrani della storia delle monarchie non solo nazionali, e cioè S.M. il Re Umberto II.
Nel dramma della divisione della Patria, nella prima ricostruzione, ma anche nelle significative aperture sociali, impregnato di profonda fede, il Re proclamò, anche successivamente, il concetto di autogoverno del popolo e di giustizia sociale.
Ma è altresì da non dimenticare che fu il Sovrano che firmò a noi siciliani, l’Autonomia Speciale, ripristinando le prerogative storiche e riaprendo di fatto le porte al Parlamento Siciliano che poi, noi siciliani, anche per un certo ascarismo abbiamo, specie negli ultimi decenni, usato malissimo.
L’autonomia è altra cosa che non inficia quella firma e la volontà del Re ribadita nella sua ultima visita in Sicilia, a Palermo, Trapani, Catania e Messina, in piena e finale campagna referendaria, con l’accoglienza di un fiume di popolo entusiasta e consapevole, superiore a qualsiasi altra precedente occasione, comprese le visite di Mussolini negli Anni Trenta del consenso, con accanto al Re un partecipe Cardinale Ernesto Ruffini.
Anche nel primo dopoguerra si sostanziò una pur limitata ma significativa continuità ideale con la Dinastia e con il principio monarchico in Sicilia, con la devozione al RE ed alla Corona, non solo con storici esponenti del passato regime ma con nuovi virgulti quali Alliata, il Presidente Majorana, numerosi assessori regionali, sindaci ed amministratori locali.
L’esito del referendum fu schiacciante, come noto, a favore della Monarchia, in gran parte del Centro Sud. La migliore risposta di popolo ad un Nenni che proclamava “ o la repubblica o il caos”.
Ed infatti abbiamo avuto l’una e l’altro.
Oggi ripensare la storia è esercizio veritativo necessario e non solo accademico, come ogni giorno ci insegna il nostro stimato Presidente ed eminente storico prof. Aldo A. Mola, e tuttavia qualunque revisione si deve rapportare alla necessaria contestualizzazione.
Pena l’esercizio acritico della ricerca stessa e lo stravolgimento in chiave passatista senza rinnovarne la urgente necessità rispetto al compito immane che pure ci riguarda strettamente, la restaurazione.
Ora, ripensare e rileggere liberamente fatti ed avvenimenti è mistura che forgia la consapevolezza di contro all’acritica riproposizione degli assetti stessi scaturiti dal Congresso di Vienna ben duecento anni fa.
Non per culto, che non mi appartiene, dello storicismo ma per sano ed indispensabile realismo.
Pensare alto e chiaro, lontano dal comodo adagiarsi, è quindi necessario al futuro della patria, anche rimeditando su modelli politici ma anche metastorici della non obliabile storia europea, a partire da Roma e dal Sacro Romano Impero, di cui, ricordo sommessamente, i Savoia erano Vicari ed un tale privilegio altissimo vantarono e vantano giustamente.
Il modello centralista è così cosa ben diversa dal simbolo unificante della Corona, in grado di cingere le diversità e le peculiarità organiche dei popoli, esaltandole e non certo soffocandole come vuole invece la modernità standardizzata e livellante.
Il problema italiano ed europeo è quindi di globale ripensamento rispetto ai processi dissolutivi e di secolarizzazione in atto e con perniciose e vecchie radici.
I popoli, anche se addormentati, hanno bisogno per la loro rinascenza di miti, valori, tradizioni e non certo di formule oniriche e di finanza oligarchica che li soffoca in realtà in stato di anestesia.
Chiediamo con rispetto ai nostri Principi non certo di fare politica come oggi la si percorre ma di mettersi in ascolto a favore di nuove sintesi metapolitiche, senza sovvertire il cuore e senza dogmatizzare ciò che invece è nelle mani, nella volontà ed intelligenza degli uomini, delle elites che fanno comunque la storia, loro per primi compresi.
Un modello di reali e comunicanti autonomie dei popoli italiani, una prospettiva confederale che faccia convergere la tradizione regia con il popolo, l’innovazione con i valori sacri, la coesione contro gli egoismi, è quindi strada proficua, che proprio il Senato del Regno ha compito di studiare e proporre verificandone limiti e ricchezze con costruttiva e moderata serenità di intenti e sempre mirando al bene comune.
Cav. Prof. Tommaso Romano,
Consultore