Ed è ancora 2 giugno…

bandiera umberto2

 

di Sergio GIACALONE
Vicepresidente

La data del 2 giugno per noi monarchici è una data funesta. Il suo carico di retorica senza alcun fascino, le grigie rievocazioni di uno strappo doloroso vissuto ai danni del nostro popolo, hanno la capacità di rendere questo giorno di inizio estate insopportabile. L’avessimo realmente voluta, questa repubblica, non sarebbe stato così. Ma noi sappiamo bene che così non è. Che la svolta repubblicana italiana è stata imposta, non scelta. Tutt’al più è stata estorta. Solo così trova una spiegazione plausibile tutto quello che ci è capitato a partire dal 2 giugno ’46 e fino ad arrivare al desolante oggi.Partendo dall’atteggiamento della politica.Il (nostro) problema è stato che i partiti politici, dal loro ritorno in campo nel 1944/45 e fino aglianni di tangentopoli, hanno avuto la capacità di nascondere le loro malefatte dietro un muro altissimo, istoriato e ricoperto di vegetazione lussureggiante, otre il quale ai comuni mortali era impossibile guardare! Vegliata da vestali di grande esperienza, dalla gran sacerdotessa De Gasperi alle ancelle Nenni e Togliatti, la muraglia ha resistito fino a che il gran sacerdozio è stato affidato alla Democrazia Cristiana e ai suoi   silenzi omertosi…. Già con l’elevazione al rango di forza di governo assunta dal Partito Socialista, ricco di personalità meno votate al sacerdozio democristiano muto e grigio, più predisposte all’esposizione mediatica e al protagonismo vanaglorioso, il muro aveva cominciato a creparsi e perdere pezzi, fino a che qualcuno, forse più alto di altri, era riuscito a guardare al di là… Tangentopoli aveva le potenzialità di un cataclisma, poteva essere l’atto di condanna per un sistema nato deviato: si risolse con la condanna del solo Craxi e l’avvento di una classe politica che alla predisposizione al crimine e alla menzogna della precedente aggiungeva una totale incapacità al prezioso silenzio e una sfacciata aspirazione all’arricchimento personale. proseguimento della demolizione del muro, fino a che, con il berlusconismo (eredità degenerata del craxismo), ilcadavere Italia si è mostrato in tutta la sua desolante putrescenza. Ma lo ribadisco, la morte risale a settant’anni fa. Solo che noi siamo maestri a nascondere i decessi, come bene sa l’INPS!

D’altronde la politica italiana repubblicana ha potuto fregiarsi di maestri di razza nell’arte della mistificazione. A cominciare dal buon De Gasperi. Già, Alcide, celebrato padre della Democrazia…Cristiana. Dunque padre della più becera congrega di ipocriti affamatori del Paese e capo ipocrita egli stesso. O Togliatti, che confidava all’indomani del referendum istituzionale “..è stato un parto difficile… e i parti difficili vanno pilotati…” gettando lunghe ombre sulla nascita della repubblichetta. O ancora Nenni che all’epoca tuonava “La repubblica o il caos!” che più che uno slogan è una minaccia.

 

Di elementi di riflessione ce ne sono non pochi perdestare quanto meno il sospetto che l’Italia di oggi è la stessa Italia “creata” da De Gasperi, Nenni e Togliatti in “armonia” con i sovvenzionatori americani e oggi giunta al capolinea. Un Italia che può risorgere solo se recupera le sue radici, se supera una Costituzione che la imbavaglia in nome del patto malefico fra i partiti antifascisti che sta alla sua base, che la rende democrazia negandole nel suo ultimo articolo tutte le libertà che le concede nei precedenti.D’altronde basta ripercorrere i fatti: nei giorno arroventati che precedettero il referendum istituzionale, mai la DC diede indicazioni precise ai propri elettori sulla scelta fra Monarchia e Repubblica. Ligio al suo copione De Gasperi scelse di non scegliere. E poté così scrivere senza indugi al Ministro della Real Casa di credere impossibile una vittoria della repubblica, ancora la notte del 4 giugno 1946. Meno di dieci giorni dopo si autoproclamava capo provvisorio dello stato, mettendo il Re nella condizione di provocare una guerra civile o andarsene assumendo su di sé il peso di una decisione che avrebbe equivalso alla sua condanna ad un esilio eterno. Ma tant’è.Partito il Re rimaneva un paese dilaniato, senza pù un riferimento, senza un simbolo unitario. La politica aveva la sua grande occasione: fornire motivi di aggregazione che dessero forza ad un popolo lanciato in un avventura impegnativa come quella democratica appena uscito da vent’anni di “sospensione” delle attività politiche e dopo essere stato spogliato di tutte le sue certezze e scippato delle sue tradizioni. Ma quell’occasione fu usata nel peggiore dei modi. Per difendere il segreto dei misfatti elettorali e del colpo di stato che avevano dato il via alla repubblica italiana i partiti non esitarono a fare fronte comune al solo fine di convertire quella metà del popolo italiano che, secondo i dati ufficiali, aveva votato monarchia. Si impose la consegna del silenzio sulla storia monarchica del paese e si affidò ai detrattori dell’ex casa regnante il compito di riscrivere la storia d’Italia omettendo il ruolo di casa Savoia oppure denigrandone uomini e  imprese. Che la storia la scrivano i vinti è fatto notorio e inevitabile. Che la si inventi e la si infarcisca di menzogne è altra cosa. E non rende alcun servigio al popolo che la assimila, fuorviandolo e svuotandolo di contenuti e dignità. Ma tant’è..! Eppure mi piacerebbe chiedere alla gente comune da quale istituzione sente rappresentata la propria appartenenza, quale istituzione racconta i 155 anni di storia unitaria, quale istituzione ha la capacità di farsi fonte di tutti i poteri del lo stato, che traggano da essa legittimazione e dignità politica. La risposta me la posso anche dare da solo: nessuna. Le istituzioni repubblicane raccontano un momento assai particolare della nostra storia, sono la risposta ad esigenze contingenti lontane quasi 70 anni. Hanno conservato una certa dignità fino a che sono vissuti i padri costituenti, che con la loro storie di eroi partigiani riuscivano ad affascinare il popolo e ad infondere dignità a quelle istituzioni create a loro immagine. Ma ora tutto è cambiato; scomparsa quella generazione, tutta la vacuità, l’inadeguatezza, soprattutto i limiti di rappresentatività di quelle istituzioni si sono palesati con drammatica evidenza.Dobbiamo dunque accontentarci di una repubblica de facto, di questa sorta di figlia di N.N. priva di una data di nascita certa, che nasconde i suoi natali per perpetrare i sui misfatti? No, direi di no. E nel giorno in cui noi di Rinnovamento nella Tradizione celebriamo dieci anni di impegno e determinazione affinché non si perda il legame con quel passato e con quei valori in cui risiede la chiave per un futuro migliore, questo rifiuto diventa quanto mai categorico. E si fa prorompente il bisogno di chiedere al Re di tornare a casa.

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