Filippo d’Acaja: da principe a masnadiero

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DI BACOLLA FABRIZIO

“Disposto Filippo D’Acaja d’impadronirsi colla forza dei domini paterni, procurò di rendersi potente, e guerreggiare con l’esercito il più possibile numeroso. Onde ottenere questo suo intento, nello stesso mese di gennaio prese al soldo due compagnie inglesi condotte da certo Bosons, ciascuna delle quali contava trecento cavalli e quattrocento piliardi: a questi soldati di ventura aggiunse quei banditi e masnadieri piemontesi, i quali per far sacco e ruba eransi messi sotto il di lui stendardo. Ripartì Filippo questi suoi armati nelle fortezze di Fossano e Vigone, che sempre tenne dacchè erasi ribellato contro il proprio genitore”.

Era il gennaio del 1368 quando il Principe Filippo II D’Acaja decise di incarnare il vero spirito del “Masnadiero”. In quell’anno divenne oggetto di disprezzo e di odio, un Principe che fece improvvisati bottini e violenti saccheggi, lacerando con decisione ogni rapporto di affetti con la famiglia e con i suoi sudditi. Egli era stato il figlio di Giacomo D’Acaja e il cugino del celebre “Conte Verde” Amedeo VI di Savoia. In soli ventotto anni di vita, Filippo ci regalerà una storia avvincente, ricca di numerosi avvenimenti, a tratti triste e in molti casi offuscata da rancori e violenze. Tutto iniziò quando Il padre di Filippo II, Giacomo, era stato dichiarato traditore nel 1360 da Amedeo VI per alcuni suoi atti considerati di ribellione al vassallaggio cui doveva attenersi nei confronti dei cugini Conti di Savoia. Giacomo venne arrestato, mentre il figlio ed erede, Filippo, dovette rifugiarsi ad Alessandria. Giacomo, sconfitto, fece dunque atto di sottomissione e per riottenere la libertà, per essere prosciolto da ogni accusa e per riottenere i propri domini, dovette sborsare al “Conte Verde” 160.000 fiorini d’oro. La madre Sibilla del Balzo morì di tisi quando Filippo aveva 14 anni e il padre si risposò dopo alcuni anni con una nobildonna pinerolese chiamata Margarita Beaujeu dalla quale ebbe due figli. Dopo la morte del padre, la matrigna Margarita architettò uno spregevole piano per incriminare anche Filippo di tradimento e favorire quindi i propri figli “naturali” nella scalata al trono del principato. Nel 1366, Giacomo era stato indotto a diseredare il figlio maggiore Filippo e ad assegnare tutta l’eredità ai figli avuti dalla nuova moglie. Filippo II, Principe D’Acaja, emarginato ed isolato, con il padre deceduto nel 1367, cercò una rivincita contro i fratelli Amedeo e Ludovico e contro il “Conte Verde”, arruolando una compagnia di ventura e cercando un’alleanza con alcuni dei principati limitrofi che non si concluse mai.

Nel giugno del 1367 Filippo II D’Acaja tenta di impadronirsi dei domini paterni prima della lettura del testamento alla Corte di Chambery. Si stava aspettando il ritorno dalla Grecia del conte Amedeo VI di Savoia, il quale, come signore diretto ed esecutore testamentario del principe Giacomo, aveva diritto di pronuncia sulla successione ai domini. Il 28 di giugno, la vedova di Giacomo, Margarita di Beaujeu D’Acaja, discese dalla Savoia con uno stuolo di armati per sostenere con la forza i diritti dei suoi due figli Amedeo e Ludovico di Savoia. Filippo D’Acaja, minacciato dalle truppe savoiarde, finse di accordarsi con la matrigna Margarita, promettendo di aspettare il ritorno del conte Amedeo di Savoia. Nel frattempo decisero che Filippo occupasse provvisoriamente Vigone e Fossano e Margarita Cavallermaggiore e Cavour. Verso la fine dell’anno il “Conte Verde” giunse finalmente a Vercelli. Essendo al corrente della situazione, non mise neppure piede sui domini del Piemonte del Principe D’Acaja, ma da Vercelli andò ad Ivrea, ed attraversando le sue terre del Canavese, giunse a Chambery. Amedeo VI conosceva bene l’indole prepotente di Filippo, così che ancora quando si trovava ad Ivrea, si era fatto promettere da Filippo di recarsi subito a Chambery per ascoltare la sentenza di successione sui domini paterni e di rispettare l’ubbidienza alle sue ordinazioni. All’apertura del testamento si lesse che Amedeo, fratello di Filippo, era stato riconosciuto come erede universale e Filippo di una piccola porzione dei feudi per diritto d’omaggio del fratello Amedeo. Probabilmente fu qui che Filippo D’Acaja, furibondo d’ira, si trasformò da Principe a Masnadiero, divenendo il primo celebre “Capitano di Ventura” del Piemonte. Non ottenendo l’assenso per un alleanza con il Marchese del Monferrato, sempre disponibile ad una conquista territoriale sui D’Acaja, ma in questo caso rimanendo prudentemente neutrale e Federico, Marchese di Saluzzo, con cui trattò, ma che non si concluse nessun tipo di alleanza, Filippo dimostrò la sua ostinata contestazione con un metodo di guerra irregolare, tipico dei soldati di ventura, pretendendo con la forza il giuramento di fedeltà dai Comuni e dai Vassalli. Così, Filippo D’Acaja e il suo esercito di fortuna inglese, invase a mano armata tutti i territori circostanti, mettendo ogni abitazione a fuoco e a sacco. Gli armati di Filippo penetrarono a Barge, a Cavour, a Envie, a Bagnolo, a Bricherasio, a Miradolo, a Perosa, a San Secondo e Santa Maria di Pinerolo e a Osasco. Colpirono Frossasco e le sue vicinanze, Cumiana, Piossasco, Trana, Grugliasco, Beinasco, Collegno, arrivando fino a Torino. Poi Villafranca, Cercenasco, Virle, Moncalieri, Carignano, Vinovo, Chieri, Moretta, Ruffia, Costigliole, Scalenghe, Castagnole, None, Volvera, Cavallermaggiore, Scarnafigi, Montebreone (era tra Bricherasio eGarzigliana) e Busca. Furono queste le città e i luoghi che provarono la rabbia dell’orda indisciplinata dei soldati di ventura di cui Filippo era diventato masnadiero. Solamente Vigone e Fossano ne furono esenti essendo i ricoveri stessi dei suoi armati, mentre gli altri luoghi furono ripetutamente predati. L’esercito inglese di Filippo non assediò mai nessuna fortezza per non esporre troppo a lungo il loro pericolo di vita e solo Carignano oppose una decisa resistenza; così la soldataglia si introdusse con la frode, ma l’inganno fu presto scoperto e ne vennero subito scacciati. Furibondi, fecero prigionieri tre abitanti che condussero a Vigone, informando i parenti che li avrebbero “cangiati contro tre cavalle” se non avessero pagato un cospicuo riscatto. Ma questi erano in povertà, così Filippo gli fece tagliare le orecchie, il naso, le mani, cavare gli occhi e li fece gettare nel fossato del Forte di Vigone come esca per i cani. Anche abitanti di altri luoghi furono rapiti e poi rilasciati dopo aver pagato un forte riscatto in denaro. I proventi delle rapine, delle imposizioni straordinarie, dei saccheggi e dei riscatti, venivano divisi tra le due compagnie inglesi di ventura e una parte era trattenuta dallo stesso Filippo. Alla fine di marzo era scaduto il contratto di tre mesi con il capitano Bosons e i suoi armati, così Filippo ingaggiò una compagnia alemanna capitanata da Monaco di Helz, anch’egli con due compagnie di soldati. Questi nuovi predatori, entrati in servizio dopo le feste di Pasqua, si comportarono come i precedenti soldati inglesi: uccidendo, rubando e saccheggiando, nonostante fossero regolarmente pagati da Filippo: ma anche qui egli tratteneva una parte delle ruberie.

l “Conte Verde” inizialmente pensò che i fatti ignominiosi si erano verificati perché i luoghi saccheggiati da Filippo non erano a conoscenza della lettura del testamento del padre. Così riunì gli Stati del Piemonte a Pinerolo e rilesse la sentenza, ma accortosi che Filippo ricusava, non riconoscendo le disposizioni del padre, decise di scrivere in giugno al capitano Monaco di Helz, informandolo ingenuamente che egli riteneva il suo padrone non un personaggio leale e che quindi l’alemanno era, a sua insaputa, al servizio di “persona poco onorevole”. Gli rispose il Monaco che Filippo era invece persona “leale e dabbene” e che lui e i suoi armati non avevano di che lamentarsene, quindi lo avrebbero servito fino alla fine del contratto, dopo di che, se voleva, sarebbe passato volentieri al suo servizio, preferendolo ad un altro signore. A questo punto il “Conte Verde” dichiarò apertamente Filippo un traditore di fronte all’Imperatore e di fronte a Filippo di Chiarenza, responsabile del Principato D’Acaja. Lo stesso fece riscrivendo al Monaco e intimandogli che se avesse ancora osato contraddirlo, gli avrebbe dimostrato con i fatti “l’Onor Suo”.  Monaco di Helz non si scompose, fece vedere lo scritto a Filippo, dopo di che accettò la sfida, dicendogli che anche lui gli avrebbe fatto vedere chi era. Ad una esplicita richiesta scritta in cui il “Conte Verde” faceva sapere di essere pronto a sostenere con le armi ovunque il Monaco avrebbe avuto desiderio di battersi, rispose questa volta lo stesso Filippo. Il Principe D’Acaja gli disse che era pronto a rispondere delle accuse di tradimento di fronte all’Imperatore e a Filippo Chiarenza e che se il Conte non gli consegnava subito i liberi domini del Piemonte che gli spettavano e non lo assolvesse dal giuramento di fedeltà nei suoi confronti, offriva combattimento con cento uomini a cavallo contro un egual numero di armati, in un luogo a scelta che il Conte avrebbe avuto libertà di designare. Il “Conte Verde” gli rispose che era un mentitore e che se non avesse avuto il coraggio di discolparsi subito di fronte all’Imperatore, non gli avrebbe rimesso i domini paterni e non lo avrebbe assolto dal giuramento di fedeltà, oppure accettava la sfida, da effettuarsi nel Piemonte, con cinquanta uomini da ambedue le parti. Ad un’altra lettera di Filippo, sottoscritta con Monaco di Helz, il Conte rispose che accettava il duello e che li avrebbe attesi al campo.  Il combattimento era stato fissato per il 15 agosto ai confini di Fossano con i rispettivi commissari da ambo le parti per esprimere giudizio sulla vittoria. La notizia di questo imminente scontro si diffuse in tutta Italia creando gravi preoccupazioni. L’imperatore Carlo IV scrisse al “Conte Verde” proibendogli di recarsi al conflitto e con un altro diploma ordinò al Marchese del Monferrato, eletto come giudice del campo, di opporsi perché il conflitto non avesse luogo, intervenendo, se necessario, anche con le sue truppe. Galeazzo Visconti invece, scrisse a Filippo D’Acaja intimandogli “di tenersi chiuso in Vigone, od altro suo castello, e di non uscirne il dì destinato alla battaglia”, aggiunse anche che se avesse trasgredito, avrebbe trovato in campo tutte le forze milanesi che lo avrebbero combattuto. Filippo II D’Acaja si spaventò e fece un passo indietro, comunicando al “Conte Verde” che ritirava la sua parola essendo diventato per lui troppo pericoloso combattere. A dimostrazione di queste sue paure allegò al messaggio lo scritto di Galeazzo Visconti. Aggiunse inoltre che avrebbe rivisto la sua decisione solo se gli si fosse stato assicurato che Galeazzo Visconti non si sarebbe immischiato nel combattimento. Il “Conte Verde” gli rispose l’11 agosto 1368, dicendogli che tranquillizzasse la sua anima per le minacce del Visconti, perché egli avrebbe fatto custodire con i suoi armati il campo di battaglia e che nessuno avrebbe preso parte alla loro disputa “sotto la fede del suo corpo e con giuramento”. Amedeo VI aggiungeva che se Filippo non si fosse sentito sufficientemente sicuro di tale promessa, si sarebbero recati a Pinerolo per effettuare il combattimento e che avrebbe obbligato i suoi abitanti ponendoli sotto giuramento,  garantendo così la sicurezza “sulla di lui persona” . Il 14 agosto, un giorno prima del fatidico scontro, il “Conte Verde” si diresse verso Fossano con i suoi armati per prepararsi alla sfida. Filippo D’Acaja invece, decise di non presentarsi al campo barricandosi nella fortezza di Fossano, così il duello non ebbe luogo. Per quale ragione “Il Masnadiero” Filippo II D’Acaja scelse infine di non affrontare il “Conte Verde” Amedeo VI di Savoia? Lo scopriremo nel prossimo articolo.

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