Il beato Pio IX: storia dell’ultimo Papa regnante

di Giuseppe Baiocchi

Nella prima metà degli anni quaranta dell’Ottocento si fece progressivamente strada in ampi segmenti della società italica la questione nazionale, grazie al sempre più intenso dibattito pubblico animato da posizioni diverse e ideologicamente contrapposte. Quella che raccoglieva più larghi consensi fu inizialmente la proposta moderata e neoguelfa, poiché intendeva mantenere gli equilibri sociali esistenti e ribadiva la centralità dell’ordinamento monarchico, tanto che alcuni ambienti di corte la consideravano tollerabile.

In questa situazione di crescenti aspettative per un dialogo che si sperava costruttivo, l’elezione a Papa, nel giugno 1846, dell’arcivescovo di Imola, Giovanni Maria Mastai Ferretti (1792 – 1878) che a 54 anni, con il nome di Pio IX, produsse uno scuotimento in tutta la penisola italica ed in tutte le corti europee. Il beato Pio IX giunse al pontificato possedendo una fama di autentica religiosità, con un atteggiamento distante dalle chiusure del suo predecessore Gregorio XVI, le quali erroneamente gli avvalsero l’icona del liberalismo moderato, tanto profetizzato da Vincenzo Gioberti (1801 – 1852).

Le iniziative, che poi saranno cardine della sua beatificazione, lo renderanno molto stimato dal popolo: l’amnistia per tutti i detenuti politici e gli esiliati (16 luglio 1846), la creazione di una Consulta di Stato (14 aprile 1847) e una maggiore libertà di espressione degli organi di stampa (15 marzo 1847); tali atti furono così visti dall’opinione risorgimentale, di stampo nazionalista, come quella forma liberale di espressione che dopo la Restaurazione (01 novembre 1814 – 9 giugno 1815), non si era più riuscita a conquistare.

Non bisogna confondere le ideologie cristiane ed evangeliche, come pretesto per una visione “liberale” del Pontefice, il quale di contro possedeva teorie legittimiste, successivamente applicate durante il suo Regno: da qui la grande calunnia storica di ambiguità mossa contro Pio IX, che non poteva certamente accettare, come Vicario di Cristo le teorie, successivamente comprese da lui stesso, dell’idealismo cartesiano (e successivamente hegeliano, poi marxista), che poneva l’uomo al posto di Dio, frutto della Rivoluzione francese del 1789.

Come afferma lo storico Roberto de Mattei: «È in quell’ “artificiosamente montato” che non è difficile trovare le vere cause del “delirio collettivo dell’opinione pubblica” che, dal luglio del 1846 all’aprile del 1848, creerà, attorno al nome di Pio IX, il mito del Papa “liberale”, frutto in realtà […] di un “sistematico sfruttamento” delle iniziative del pontefice, per realizzare lo storico “abbraccio” tra la Chiesa e i principi della rivoluzione francese».

Nell’autunno del 1847 tutte le monarchie della penisola italica, travolte dai moti, avevano loro malgrado intrapreso una svolta riformista e avviato un programma di pur graduale rinnovamento delle istituzioni statali. Nondimeno, a conferma del carattere ormai dirompente delle istanze nazionali, risultò presto evidente che questo mutamento di rotta non sarebbe stato sufficiente a placare le aspettative che si nutrivano da più parti. Fin dal gennaio 1848, infatti, la penisola italiana e l’intera Europa furono percorse da nuovi moti rivoluzionari che sarebbero sfociati in una prima resa dei conti tra i sovrani riportati al Trono dalla Restaurazione e i loro sudditi, dopo che ad essi era stata data la possibilità di accedere alla vita politica dello Stato. Pio IX fu artefice, tra le tante innovazioni del suo Regno, della Lega doganale italiana (3 novembre 1847) con il Granducato di Toscana e il Regno sabaudo del Piemonte, con lo scopo di favorire – attraverso una tariffa daziaria unica – l’integrazione economica italica attraverso la caduta delle barriere esistenti fra i vari Stati.
Più tali concessioni venivano sancite, più l’errata interpretazione dei futuri patrioti nazionalisti italici aumentava nei confronti dello Stato Pontificio. Furono proprio le “rivolte” sfociate un anno dopo a far arenare tale progetto, che poteva ideologicamente aderire in un lungo-medio termine, verso una confederazione di Monarchie italiche rette sotto un Papa Reggente: modello che fu adottato dal 1867 da Franz Joseph con la creazione dell’Austria-Ungheria.
Come fu ampiamente evidente, la metodologia delle “concessioni” non fu strategia premiante nel frenare le istanze nazionali, le quali di contro ambivano verso una malcelata volontà di potenza su tutti gli Stati Sovrani della Penisola.

Fu lo stesso Pio IX ad accorgersi dello “scacco nazionale” della Prima Guerra di Indipendenza italiana (23 marzo 1848 – 24 marzo 1849) con l’antico alleato dell’Impero cattolico austriaco (ricordo come ad uno Stato cristiano fosse impedito di muovere guerra contro un suo fratello cattolico, previa disposizione pontificia), difatti già il 29 aprile – dopo aver inviato sulla linea del fronte in avanguardia due divisioni volontarie comprendenti 7500 uomini comandate dai generali Durango e Ferrari, con la sola missione di proteggere i confini dello Stato Pontificio con il Regno Lombardo-Veneto austriaco (Nota1) – il Papa comprese l’errore ideologico della posizione neoguelfa riformatrice e richiamò le proprie truppe ripudiando la guerra contro l’Austria in un discorso tenuto davanti ai propri cardinali: «Fedeli agli obblighi del nostro supremo apostolato, Noi abbracciamo tutti i Paesi, tutte le genti e Nazioni in un istintivo sentimento di paterno affetto».

Bisogna necessariamente aprire una digressione sulla figura di uno dei comandanti pontifici Giovanni Durando (1804 – 1869). Di orientamento massonico-liberale, partecipò precedentemente a diversi moti rivoluzionari in Piemonte (1831), in Belgio (1832), in Portogallo (1833-1838), e Spagna.
Dal 24 marzo 1848 assunse il comando delle truppe pontificie ed estere al servizio di Pio IX, il quale commise certamente un errore politico, rimettendo la fiducia in un generale di indubbia capacità militare, ma di ideologia non affine al pensiero legittimista: incarico che successivamente il Pontefice pagò a caro prezzo, nei confronti dell’Austria.

Nell’aprile del 1848, trovandosi a sud del Po nei territori pontifici, contravvenendo agli ordini di Pio IX di ritirarsi e rientrare a Roma, attraversò il fiume recandosi nel Veneto insorto contro gli austriaci. Durango assunse anche l’incarico, per conto di Carlo Alberto, di coordinare i volontari veneti, partecipando così alla Prima guerra di indipendenza italiana. L’evento comportò un forte caso diplomatico tra lo Stato Pontificio e L’Impero d’Austria.
Ideologie come quella nazionalista, oggi ben nota e studiata, erano certamente “terra incognita” per i Sovrani dell’epoca, che inizialmente non compresero affatto le mire nazionali, di cui la Monarchia liberale dei Savoia si era fatta promotrice.

Nello Stato della Chiesa si era intanto aperta una frattura tra i settori più conservatori e le diverse anime dello schieramento liberale, deluse dalla decisione di Pio IX di recedere all’adesione alla guerra contro l’Austria. Da allora il Governo liberale fu affidato al moderato conte Terenzio Mamiani Della Rovere (1799 – 1885), anch’esso appartenente alla Massoneria italiana: appare evidente come le logge massoniche liberali, si erano insinuate all’interno dello Stato retto dal Pontefice, elemento che contribuì alla caduta della suddetta realtà statale.

Il 12 Luglio Mamiani è costretto a dimettersi, per lasciare il posto il 16 settembre a Pellegrino Rossi (1787 – 1848), il quale possedeva un progetto federalista – inviso a chi voleva unire l’Italia in uno Stato centralizzato sul modello francese – di una confederazione di Stati, che affermava la piena autonomia dello Stato della Chiesa e rimaneva neutrali nel caso di un’eventuale ripresa della guerra di Carlo Alberto contro l’esercito di Radetzky.

Il neoministro cercò anche di attivare una politica di pacificazione sociale e risanamento finanziario
In ambienti rivoluzionari fu elaborato un piano per assassinarlo: la mattina del 15 novembre 1848, giorno di riapertura del Parlamento, Rossi fu accoltellato sulle scale del Palazzo della Cancelleria; il suo assassinio fu l’inizio della serie di eventi che portarono alla proclamazione della Repubblica Romana. Difatti pochi giorni dopo, il 24 novembre, di fronte al dilagare delle manifestazioni popolari, Pio IX fu costretto alla fuga verso Gaeta, sotto la protezione di Ferdinando II.

Sotto la spinta delle “rivendicazioni” dei democratici si formò una Giunta di Stato non eletta – sotto forte pressione dei mazziniani confluiti da tutta la penisola a Roma – che sciolto il Parlamento, convocò un’Assemblea costituente romana (9 febbraio 1849) che tramite il suffragio universale poneva le basi per una Costituente nazionale, autoproclamò la Repubblica e la decadenza “di diritto e di fatto” del potere temporale del Papa. Roma fu capovolta: tra il febbraio e il marzo 1849 il governo democratico abolì il controllo vescovile sull’istruzione, soppresse il Sant’Uffizio e incamerò i beni ecclesiastici. Moltissimi furono i volontari che, animati da Mazzini, affluirono in quei mesi a Roma per difendere la città: Giuseppe Garibaldi (1807 – 1882), Carlo Pisacane (1818 – 1857), Goffredo Mameli (1827 – 1849) e Nino Bixio (1821 – 1873). Si nominò un triunvirato, su modello napoleonico, composto da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini (1777 – 1863) e Aurelio Saffi (1819 – 1890), dotato di potere “illimitato” per la “difesa della Repubblica” (Nota2)
Il 1º gennaio il Papa emanò un motu proprio con il quale condannò la convocazione dell’Assemblea Costituente e comminò la scomunica sia a coloro che avevano emanato il provvedimento sia a coloro che avessero partecipato alla consultazione elettorale. Le elezioni si svolsero comunque e decretarono la vittoria dei democratici, che furono gli unici votanti delle elezioni imposte. Non si recarono ai seggi, infatti, legittimisti e i moderati: le componenti sociali più sensibili al richiamo del pontefice. Tuttavia, dopo che era venuto meno il sostegno della Toscana, e in seguito ai contraccolpi dell’insuccesso militare piemontese, l’esperimento romano si trovò in crescente difficoltà.
D’altra parte la Repubblica francese, a cui i romani avevano guardato come un modello esemplare, non solo non mostrò alcun genere di solidarietà, ma anzi proprio Luigi Napoleone – nell’intento di accattivarsi il clero – fu fra i primi ad inviare reparti militari contro la Repubblica per il ripristino del potere papale. Il 1°luglio 1849, dopo aver approvato simbolicamente il testo definitivo della Costituzione repubblicana, l’Assemblea costituente non poté più opporre alcuna resistenza contro la coalizione formata da Francia, Spagna e Regno delle Due Sicilie: con l’assedio di Roma dello stesso anno, Pio IX poté tornare sul suo Trono.

Il Pontefice scosso dal pericolo appena corso di essere delegittimato, cancellò ogni traccia del biennio rivoluzionario e si pose politicamente come punto di riferimento del Trono e dell’Altare. Come nuovo segretario di Stato fu nominato Giacomo Antonelli (1806 – 1876), che perseguitò gli avversari politici, ordinando molti arresti e riportò gli ecclesiastici al vertice di tutti i principali organismi pubblici. I gesuiti in particolare ripresero ad esercitare una grande influenza all’interno dello Stato Pontificio, anche attraverso la rivista “La civiltà cattolica”, fondata nel 1850.
Pio IX durante il suo pontificato, il più lungo della storia, se si accettua quello dell’apostolo Pietro, manifestò la sua avversità allo Stato italiano e alle idee laiche e liberali che hanno lasciato un segno profondo nella storia d’Italia, risolta con i famosi “Patti Lateranensi” del 1929 ad opera di Benito Mussolini (1883 – 1945). Nell’enciclica Quanta cura del 1864 non lasciava alcun spazio al compromesso: i cattolici dovevano opporsi “alle nefande macchinazioni di uomini iniqui che (…) schiavi della corruzione, con le loro opinioni ingannevoli (di cui egli era stato inizialmente sedotto) e con i loro scritti dannosissimi, si sono sforzati di scoquassare le fondamenta della cattolica religione e della civile società, di levare di mezzo ogni virtù e giustizia, di depredare gli animi e le menti tutti”. Nel contesto di questo aspro conflitto fra Chiesa e Stato vanno ricordate le due note a presa di posizione di Pio IX: la dichiarazione dell’infallibilità del Papa fatta proprio a ridosso della presa di Roma e soprattutto il Non expedit (1874), con la proibizione per i cattolici di partecipare alla vita politica dello Stato italiano.

Egli dovette soffrire molto, poiché l’incomprensione e l’odio delle forze massoniche e rivoluzionarie, continuarono ai danni del suo Stato, nei confronti delle province di Marche e Umbria (18 settembre 1860), durante il periodo dell’unificazione nazionale ad opera di Garibaldi, appoggiato tacitamente dal Regno sabaudo, dopo aver sconfitto a Castelfidardo le forze papaline.
Furono solo le forze francesi di Napoleone III (nel frattempo divenuto Imperatore dei francesi, aprendo il secondo Impero napoleonico) stanziate nel Lazio che permisero allo Stato Pontificio di perdurare per altri undici anni (Nota 3).

La via per Roma sembrava dunque chiusa per il completo assoggettamento della penisola. Nel novembre 1867, fallì infatti un nuovo tentativo intrapreso da Garibaldi per conquistare la città: un corpo di spedizione francese attaccò presso Mentana i suoi volontari, che dopo un duro combattimento furono costretti a cedere alle forze soverchianti dei loro avversari. A risolvere la situazione fu, nel 1870, la sconfitta della Francia di Napoleone III a Sedan, ad opera della Prussia di Bismarck. La scomparsa di uno dei due contraenti fece rompere l’indugi al processo di unificazione italiano che il 20 settembre 1870, grazie all’artiglieria aprì un varco nella cinta muraria che circondava la città – la famosa Breccia di Porta Pia – e il corpo militare dei Bersaglieri ebbero la meglio sulle truppe pontificie. La Guardia palatina d’onore, creata da Papa Pio IX nel 1850, manteneva la bandiera, su concessione dell’esercito sabaudo, dopo la presa della città.

Il 3 febbraio 1871 fu stabilito il trasferimento della capitale del neonato Regno d’Italia, da Firenze a Roma. Prima ancora che il trasloco fosse effettivamente ultimato, il governo italiano cercò di risolvere il conflitto con il papato impegnandosi attraverso la legge “delle guarentigie”, (maggio 1871) a garantire al pontefice la totale autonomia nello svolgimento del suo magistero spirituale e riconobbe alla Santa Sede una serie di prerogative: l’extraterritorialità dei palazzi del Laterano e del Vaticano e della villa Castelgandolfo, la libertà di comunicazione con i rappresentanti dei governi di tutti gli altri paesi del mondo.

Pio IX aveva proclamato “ingiusta, violenta, nulla e valida l’occupazione italiana”; perciò il Regno d’Italia, ossia un Paese al 99% cattolico, si trovò a scontare il peso di una scomunica papale, destinata ad avere per numerosi anni a venire pesanti conseguenze tra il “Paese reale” e quello “legale”. Con il già citato Non expedit, Pio IX dichiarò infatti “non opportuno” – de facto una proibizione – che i cattolici partecipassero alle elezioni indette da uno Stato usurpatore. Anche se non tutti i cattolici erano pronti a seguire alla lettera la sua prescrizione, tale divieto comportò non poche noie al Regno d’Italia, sorretto da Vittorio Emanuele II.
Papa Pio IX morì prigioniero a Roma il 7 febbraio 1878 e fu sepolto in Vaticano. Nel proprio testamento, il pontefice aveva designato come luogo definitivo di sepoltura la basilica di San Lorenzo al Verano. Nel luglio del 1881 avvenne la traslazione della salma. Fu organizzata una cerimonia pubblica, che iniziò alla mezzanotte tra il 12 e il 13 luglio, secondo l’uso dell’epoca. Ad accompagnare la salma del pontefice lungo le strade si accalcarono migliaia di cittadini. Nonostante fossero prevedibili scontri, non fu organizzato un visibile dispiegamento di polizia. Il governo italiano era restio a organizzare un servizio di sicurezza adeguato per, non creare l’impressione di un omaggio a una figura che aveva ritardato l’Unità d’Italia.

D’altro canto gli ambienti ecclesiastici non vollero utilizzare le forze di sicurezza vaticane perché sarebbe stato un implicito riconoscimento della legge delle Guarentigie che le aveva istituite.
La cerimonia fu interrotta da un gruppo di anticlericali che tentarono di impossessarsi del feretro, al grido di «al fiume il papa porco», attaccando il corteo funebre con sassi e bastoni nell’evidente intento di gettare la salma di Pio IX nel Tevere. Fu grazie ai fedeli e successivamente alla pronta reazione della polizia che si evitò l’irreparabile. Solo dopo alcune ore il corteo funebre poté riprendere la processione sino a San Lorenzo in una situazione di relativa tranquillità.
L’episodio ebbe risonanza internazionale: l’Italia apparve come un paese in cui era possibile attaccare una persona anche oltraggiandone le spoglie mortali. Vi furono conseguenze politiche: il prefetto di Roma venne rimosso dall’incarico e il governo Depretis dovette rispondere a numerose interrogazioni parlamentari sulla vicenda. Il ministero degli Esteri inviò una lettera circolare alle monarchie europee per spiegare l’origine degli scontri.

Riportiamo alcune parole, segno inequivocabile di un cuore ricolmo di Fede, di Speranza, di Carità, monito per tutti noi oggi nella lotta contro i discendenti ideali di coloro che egli ebbe come suoi nemici giurati: «Quanti tiranni tentarono di opprimere la Chiesa! Quante caldaie, quante fornaci e denti di fiere, e aguzze spade! Tuttavia non ottennero nulla. Dove sono quei nemici? Sono finiti nel silenzio e nell’oblio. E dov’è la Chiesa? Ella splende più del sole».

Venne proclamato beato il 3 settembre del 2000 da Giovanni Paolo II dopo che la Chiesa cattolica riconobbe l’autenticità del miracolo ottenuto da suor Marie-Thérèse de St-Paul e l’intercessione di papa Pio IX. La Chiesa Cattolica oggi celebra la memoria del beato Pio IX, al secolo Giovanni Mastai Ferretti, ultimo Papa-Re. Questa è la frase canonica di presentazione del santo odierno.
In realtà, questa asserzione non è corretta. Nella sua fredda schematicità, ciò che la rende errata è l’aggettivo “ultimo”. Ultimo naturalmente non è riferito a “Papa”, ma a “Re”. Ma un Papa è re non perché esercita un potere temporale su uno Stato, ma per via del suo ruolo di vicario in terra di colui Che è “Re dei re”, Re dell’universo e Signore del creato, signore in quanto fattore, reggitore, governatore, e un giorno giudice; di Colui che ebbe a dire, nel pretorio dinanzi al Governatore di Roma, di Se stesso: «tu lo dici: io sono re» (Gv., 18,37). La tiara (o triregno), simbolo per secoli della regalità pontificia, non era legata al possesso dello Stato Pontificio, tanto è vero che è stata abolita, non nel 1870, ma dalle riforme di Paolo VI. In conclusione possiamo certamente affermare che in mezzo agli eventi turbinosi del suo tempo, Pio IX fu esempio di incondizionata adesione al deposito immutabile delle verità rivelate.

Nota 1: Il Papa inviava, ai confini, una forza di 7.500 uomini, organizzati in quattro reggimenti di fanteria italiana, reggimenti svizzeri, due reggimenti di cavalleria, tre batterie da campagna, due compagnie del Genio ed una di artificieri, al comando del piemontese Giovanni Durando. Mentre al napoletano Ferrari, in posizione subordinata, venne affidato il comando dei 3.000 volontari. La piccola armata partì da Roma il 24 marzo 1848, seguita, il 26 dal Ferrari, con circa 2.300 volontari, cresciuti per via sino a 12.000. Ad essi se ne aggiunsero altri 1.200 organizzati dal bolognese Tito Livio Zambeccari (1802 – 1862), anch’egli noto massone del Grande Oriente d’Italia.

 Nota 2: Se si attua una riflessione sul concetto di nazionalismo, le nuove forme statuali che si erano affermate, al fine di ritagliarsi delle sotto entità – a tutto vantaggio delle élite borghesi-massoniche, che di questo movimento si facevano promotori –, condussero verso la guerra civile i popoli europei. Queste entità progressivamente, si sono auto-convinte di possedere una «missione nazionale», la quale si rafforzò con il pretesto – nel caso dell’Austria-Ungheria, dopo il 1867 – della «parità politica» per auto-legittimare il proprio credo. Il collegamento dei diritti democratici, alle istanze nazionali – verità per le primissime rivoluzioni -, non ha avuto fondamento di giustizia in seguito, ma fu un meccanismo pianificato ad hoc dalle nuove élite borghesi dominanti. Successivamente le nazioni, che nel frattempo si erano auto-legittimate, non si sono certamente dimostrate democratiche: la Germania nazista, basata sul regime di nazione, non lasciava certamente diritti politici ai propri popoli sotto la sua sfera d’influenza. La stessa unità tedesca, del 1871, non si è ottenuta per via democratica, ma per auto-affermazione degli Junker. Il nazionalismo nasce proprio contro i diritti democratici: un potere viene sostituito da un altro, ma il nuovo che avanza, vuole possedere la legittimazione delle sue azioni violente, tramite la morale e l’etica della sua inesistente democrazia. De facto se ad una nazione fa capo una missione storica, la quale si pone in contraddizione con l’obiettivo di un’altra entità, la risoluzione per l’auto-affermazione è la guerra. Se come affermava Vincenzo Gioberti (1801 – 1852) «gli italiani hanno una sacra missione», già si asseriva che lo scopo storico degli italiani doveva entrare in conflitto con la missione storica degli altri Stati preunitari. Della sua opera fondamentale il Primato civile degli italiani si evince come l’avanguardia spirituale italiana, fondata su una «religione secolare della patria», si basava su caratteristiche di particolare assolutezza. La saldatura tra protesta liberale e rivendicazioni nazionali fu garantita fino al 1848, ma non si trattava di un successo duraturo e sarebbe stato messo presto in discussione. D’altronde tutta la mitologia della nazione è stata costruita a tavolino, come atto di pressione nei confronti di un processo storico. Ne sono testimonianza le Accademie della lingua, senza le quali il concetto di nazione si affievolisce. I nazionalismi assoluti non hanno portato alla liberazione politica, ma hanno condotto i popoli verso la schiavitù totale, come storicamente hanno dimostrato fascismo, nazismo e comunismo, evoluzioni novecentesche di tale pensiero. 

 

Nota 3: Durante l’insurrezione del 1831 fu nominato delegato straordinario di Spoleto e Rieti e con un’abile mediazione salvò la città da un inutile spargimento di sangue. Convinse i generali pontifici a non aprire il fuoco e ai rivoltosi concesse, alla deposizione delle armi, soldi e passaporti. Tale atteggiamento di moderazione contribuì, al momento della sua elezione a papa, a far pensare ai patrioti italiani che fosse uomo di idee liberali e aperto alla causa nazionale.
In tale periodo salvò la vita al ventitreenne Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, il futuro Napoleone III, che stava per essere fatto prigioniero dagli austriaci proprio a Spoleto. Il favore, fino alla sua capitolazione dopo la sconfitta prussiana, gli fu ricambiato con la salvaguardia dei suoi territori.

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