Breve riflessione sul “caso” di S.M. il Re Vittorio Emanuele III
di Giorgio Enrico Cavallo
Un paese civile sa convivere con la sua storia, bella o brutta che sia: perché la storia non è un supermercato, nel quale possiamo scegliere soltanto ciò che più ci aggrada. La storia non si sceglie, ma si accetta tutta: buona o cattiva, piaccia o no; semmai, se è stata brutta, ci si adopera per cambiare il futuro, ma non si può negare che sia esistita o giudicare il passato con le categorie del presente. Con la monarchia sabauda, l’Italia repubblicana si è a lungo comportata così; il rientro della salma di Vittorio Emanuele III – il cui regno, per la causa stessa del suo quasi mezzo secolo di durata, ha avuto molte luci e molte ombre – è, essenzialmente, un fattore di civiltà. In primis, per dare dignità all’uomo, prima ancora che al re; in secondo luogo, perché, dopo 70 anni, è giunto forse il momento di guardarsi indietro e accettare ciò che è stato, nel bene e nel male. Magari, iniziando un dibattito serio, con una reale indagine storica scevra dai pregiudizi di partito. È un’opportunità che va colta. E d’altronde, andare avanti come taluni pretendono di fare, recidendo le proprie radici storiche fin nei simboli – e quale simbolo è più emblematico di una corona! – è da illusi: non si può andare da nessuna parte, senza sapere da dove si è partiti.