Il Rivo Martino, crocevia della storia

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Vi sono luoghi, più di altri, dove la storia sembra essersi sedimentata, anche se minime appaiono le tracce materiali del tempo trascorso. È il caso del Rivo Martino, la località fra Settimo e Brandizzo dove la strada di Mezzi Po si stacca dalla provinciale per Chivasso. Difficilmente le automobili che sfrecciano veloci evocano i viaggiatori di altre epoche. Eppure, qui o nei paraggi, al decimo miglio di distanza dal foro della Torino romana, esisteva un luogo di sosta per i viaggiatori, la mutatio ad Decimum, dove si effettuava il cambio dei cavalli e dei muli. In epoca medioevale vi sorsero due chiese, una dedicata a San Lorenzo e l’altra a San Martino. Già vescovo di Tours, quest’ultimo era invocato dai viandanti lungo le vie romee.

Dalla chiesa di San Lorenzo ebbe origine l’omonimo priorato dipendente da Santa Maria di Vezzolano. Le sue proprietà, secondo i catasti del diciottesimo secolo, si ripartivano in tre lotti per complessivi cinquantadue ettari: un vasto terreno lungo la strada di Chivasso; un prato fra la Bealera Nuova e il rio dell’Olla; un edificio rurale con cappella, aia, orto, campo e prato al confine coi Mezzi.

In adiacenza agli edifici del priorato di San Lorenzo fu costruita la cascina Remartino Grande, di proprietà dei feudatari di Settimo (dapprima il marchese Ghiron Silla, poi il marchese Carlo Emilio San Martino di Parella dal quale passò alla marchesa della Montà, Cristina Felice Eleonora Isnardi de Castello, quindi il marchese Wicardel di Fleury e Beaufort, infine i marchesi Falletti di Barolo). In una carta del 1720, fra i possessi della marchesa Cristina della Montà, compaiono, «al Rivo Martino», un campo e un prato «con fabbrica da massaro». I beni confinavano con le terre della Varosa (poi cascina Acquarosa), il Gerbido Grande di Settimo, la strada di Chivasso e «li beni del priorato».

Stando al diario del poeta André De la Vigne, forse al Rivo Martino sostò il re Carlo VIII di Francia, nel 1494, di ritorno da Vercelli. Nell’ottobre 1578, recandosi a piedi da Milano a Torino per venerare la Sindone, il cardinale Carlo Borromeo fece tappa nel priorato, dove incontrò l’arcivescovo Gerolamo Della Rovere, che lo accolse in nome del duca Emanuele Filiberto di Savoia. Al gesuita Francesco Adorno si deve il resoconto del pellegrinaggio. Partito da Cigliano, il cardinale Borromeo giunse al Rivo Martino, dove «desinò […] in luogo deserto». Quindi, recitati i vespri «in una chiesa ivi vicina», cioè in San Lorenzo, la comitiva s’incamminò alla volta di Torino, «che restava otto miglia discosto».

La folta vegetazione offriva un comodo rifugio ai malviventi. Spesso la differenza tra rapine di strada e imprese militari non era molto netta. Una delle azioni che più destò scalpore risale al 1515, durante le guerre per il possesso del ducato di Milano. Allorché il re Francesco I attraversò le Alpi con un imponente esercito, le milizie svizzere al comando del cardinale Mattaeus Schinner si ritirarono negli Stati sabaudi. Il 18 agosto, al Rivo Martino, una banda do chivassesi piombò sulle salmerie del cardinale, nel tentativo d’impadronirsi del bottino di guerra. Ma i soldati della scorta opposero un’energica resistenza e respinsero gli assalitori.

Resta da chiarire dove scorresse il rio Martino, un corso d’acqua del quale si è persa la memoria storica. Il suo alveo fu forse inglobato nella Bealera Nuova, il cui scavo ebbe inizio nel lontano 1454? «Certi luoghi – diceva Cesare Pavese –hanno nome per sempre».

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