Intervista S.A.R. Principe Amedeo di Savoia Aosta

di Candida Morvillo.

Tratto integralmente dal Corriere.it

“Ho 16 tatuaggi, 11 nipoti, ho fatto il giro del mondo e, se fossi stato re, non mi sarei divertito tanto”.

Se esistesse ancora la monarchia, il Sovrano d’Italia sarebbe lui, non Vittorio Emanuele «spodestato» dalla Consulta del Regno e che per questo gli ha tirato due cazzotti. Qui il Duca si racconta: i cugini Juan Carlos ed Elisabetta, la prigionia, i tedeschi che lo volevano Re di Salò. La figlia nata fuori dal matrimonio, la moglie che l’ha perdonato. E i suoi obiettivi: imbarcarsi con Greenpeace, dimostrare che i Savoia cercarono di scaricare Hitler già nel 1942. E riavere i gioielli della Corona. Non tutti però…

Se vivessimo ancora in Monarchia, Amedeo Savoia Duca d’Aosta sarebbe il Re d’Italia. Almeno, stando alla Consulta del Regno investita da Re Umberto II del compito di dirimere le questioni dinastiche e che, dieci anni fa, ha «incoronato» lui a scapito del cugino Vittorio Emanuele. Fosse nato e cresciuto Sovrano, però, forse, Amedeo non porterebbe 16 tatuaggi, non avrebbe fatto quasi il giro del mondo, in parte pilotando personalmente un bimotore, né ora, a 73 anni, avrebbe fatto richiesta per andare in missione con Greenpeace. Non sarebbe andato a parlare di ecologia fra i no global, non sarebbe qui davanti a me, nel parco del suo dammuso di Pantelleria, che ripete alla moglie Silvia, per la terza volta, tutto eccitato: «Domani arriva il camion con le piante». La botanica è la sua passione. È presidente dell’Erbario di Palermo e della Riserva Naturale dell’Isola di Vivara, autore di libri sull’argomento, appassionato collezionista di succulente che mi mostra una a una. L’Agave Victoriae-Reginae, la Dracaena draco donata da Emilia de Orléans-Borbon… Sembra un Re della foresta, ma quest’estate ha vergato anche quattro messaggi alla nazione. Uno sul sisma del Centro Italia, uno per il Nelson Mandela Day e via così, anche se il messaggio più importante è sempre quello del 31 dicembre, come per i Re o i presidenti della repubblica. Quando ci sediamo sotto il patio del dammuso in cui sta d’estate con la moglie Silvia Paternò di Spedalotto, dal libro Cifra reale, che ha scritto con Danila Satta (editore La Compagnia del Libro), spunta una specie di poster con la genealogia di famiglia. In cima, c’è Cristiano IX di Danimarca. «È il trisnonno di tutti noi», mi spiega.

«Noi chi?». Lei e suo cugino Vittorio Emanuele?

«Suo no. Io sono più cugino di Juan Carlos di Spagna e Carlo d’Inghilterra. La Regina Vittoria era la mia trisnonna».

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Quindi che parentela ha con la Regina Elisabetta?

«In Italia, saremmo cugini di ottavo grado. Ma, nella famiglia internazionale dei Reali, lo siamo di secondo: suo marito Filippo è cugino primo di mia madre Irene di Grecia, in quanto nipote di Re Costantino, mio nonno. Invece, in Italia si conta diversamente: si sale in su, si arriva a quattro, si moltiplica per due e fa otto. Capito?».

No.

«Vittorio Emanuele II ha un figlio che si chiama Amedeo e che fa il Re di Spagna nel 1870. Amedeo ha un figlio che è Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta, che è mio nonno, comandante della terza armata che libera Gorizia, nel 1918. Ha due figli: Amedeo, morto in Africa, eroe dell’Amba Alagi, e Aimone, mio padre».

Suo cugino Vittorio Emanuele le ha fatto causa perché non vuole che lei si firmi Savoia. E ha minacciato di chiamare Savoia Aosta i suoi maiali, se lei non la smette.

«Io sono Savoia Aosta all’anagrafe. Savoia è il cognome, Aosta il titolo. L’ho detto anche al giudice: è come se al regista Visconti fosse ordinato di chiamarsi Luchino di Modrone».

Però in primo grado, il Tribunale l’ha condannata a pagare 160 mila euro di danni a suo cugino.

«E 160 mila dovrebbe pagarli mio figlio Aimone, anche lui con la sospensiva. Da nove anni abbiamo i conti correnti bloccati nonostante l’appello ci abbia dato ragione. Aspettiamo la Cassazione».

(Sotto, il passaporto di Amedeo Savoia Aosta: così è registrato all’anagrafe, ma il cugino Vittorio Emanuele gli ha fatto causa perché non vuole usi il cognome Savoia).

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L’astio di suo cugino segue la famosa pronuncia della Consulta che l’ha spodestato?

«Per essere spodestati ci vuole prima un Trono».

Il diritto di successione sarebbe decaduto quando Vittorio sposò Marina Doria senza il consenso del Re.

«La regola del consenso vale in tutte le Famiglie Reali e non solo se si sposa una borghese. Io stesso l’ho firmato a mio figlio che pure ha sposato una principessa, Olga di Grecia».

Vittorio e Marina, invece, si sposarono a Teheran, assenti i parenti.

«E Re Umberto II vietò alla famiglia di presentarsi al ricevimento a Ginevra o di fare regali. Ma non sono stato io a rivendicare il titolo. Sarebbe stato inelegante. Ho solo pubblicato delle lettere di suo padre. Ai tempi, Vittorio aveva una lovestory con Dominique Claudel, nipote del poeta francese Paul Claudel. Umberto II gli ricordava che sposandosi senza il suo consenso avrebbe perso il titolo e l’eredità. Disse addirittura che titolo e posizione di capofamiglia sarebbero passati al nipote duca d’Aosta».

Cioè a lei.

«La regola è quella. E Vittorio si è dimenticato il consenso anche con Marina».

Risultato: lei e suo cugino v’incontrate a Madrid al matrimonio di Felipe di Spagna e lei si becca due cazzotti.

«Lo hanno scritto i giornali. Non sono io a dirlo». Chi la tirò su? «La regina di Grecia».

Vi siete più visti?

«Mai».

A suo nipote Emanuele Filiberto, dopo anni di esilio suo e del padre, è riuscita un’impresa impossibile

Il Duca m’interrompe, sorridente. «Cantare al Festival di Sanremo».

Anche vincere Ballando con le stelle, ma intendevo dire, in generale: riuscire simpatico agli italiani. Siamo passati dalle polemiche contro i Savoia in Italia al televoto pro Emanuele Filiberto. Lei che pensava, vedendo accadere tutto ciò?

«Che non era la cosa giusta da fare, ma che almeno lui ha trovato una sua vocazione. Noi Savoia dovremmo essere degli ingessati nel museo delle cere, ma neanche personaggi di Cinecittà».

(Sotto, la copertina del rotocalco francese Point de vue per le nozze di Claudia d’Orléans, nel 1964, con Amedeo).

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Come ha passato il 2 giugno scorso, 70esimo anniversario della repubblica?

«Ho guardato in Tv la sfilata militare perché sono stato soldato. Ma non è stato un giorno felice».

E quando ha assistito ai festeggiamenti per i 60 anni di regno della Regina Elisabetta?

«Mi sono commosso perché, a 10 anni, ero stato alla sua incoronazione. La ricordo benissimo, quel giorno: bella, che camminava con cautela portando una corona da cinque chili. A Buckingham Palace, ero sul balcone, defilato, poi sono stato a colazione seduto vicino a Carlo e Anna. C’erano in tutto cinque o sei tavoli per grandi e piccoli».

Altre visite a Buckingham Palace?

«Al funerale della regina madre. Una cerimonia di un fasto, di una bellezza, di una coreografia… Compatibilmente con le circostanze, ovvio. God save the queen cantato da 500 persone: venivano giù i vetri della chiesa. Divise perfette, stupende, ambasciatori di tutti i Paesi, capi di Stato. Ero in seconda fila. Dopo, Elisabetta ci ha invitato a colazione a Buckingham Palace. Eravamo in 15 o 16 parenti. Ha detto: “Devo scusarmi con voi, a questo tavolo siamo tutti di famiglia, tutti intimi, ma c’è un politico. State attenti a quello che dite. C’è il primo ministro Bulgaro: Simeone”. Lui rideva. Dopo essere stato re, era stato eletto presidente del Consiglio l’anno prima, nel 2001».

Elisabetta è regina anche di sense of humor?

«È simpaticissima. Ma ha anche quattro cinque telefoni sul suo tavolo, lavora tanto, è molto in gamba».

Se fa il compleanno o c’è una ricorrenza, lei che fa? Manda un biglietto? Telefona?

«Le scrivo: risponde in 24 ore. Invece, i nostri politici non rispondono mai. Ho inviato per decenni felicitazioni ai nostri presidenti del Consiglio appena nominati ma niente».

Conosce Matteo Renzi?

«No. E neanche il presidente Sergio Mattarella. Mentre in passato sono stato sempre invitato al Quirinale, e ogni volta ho chiesto di poter vedere la stanza dove ho dormito da bambino».

Avvenne prima di lasciare l’Italia, caduta la monarchia. E dopo la prigionia in Austria.

«Ero bambino, infatti. Sono nato nel 1943 a Villa Cisterna, a Firenze, sotto le bombe. Papà al fronte. Poi, a nove mesi, con mia madre Irene di Grecia, fui prelevato dai tedeschi e portato nel campo di Hirschegg. Eravamo ostaggi, non prigionieri. Condannati a morte, con ordine firmato, ma senza data. Siamo stati liberati dai francesi fra il 5 e il 10 maggio 1945. E fu un sollievo perché, per pochi chilometri, potevano precederli i russi e mamma diceva: “Noi, parenti dello zar, saremmo comunque morti”. Era cugino anche lo Zar, gli somigliamo sia io sia mio figlio».

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Da lì, siete stati scortati in Svizzera.

«Mamma guidò per giorni. Berna le sembrò il paradiso, potè farsi lo shampoo, ma si guardò allo specchio per la prima volta dopo quasi un anno e le prese un coccolone perché aveva i capelli bianchi. Io conobbi mio padre nel maggio del 1945. Aveva saputo della mia nascita con due mesi di ritardo».

Erano i due mesi in cui sua madre, sola a Firenze, subiva pressioni dai tedeschi che la volevano Re a Salò.

«Al colonnello Eugenio Dollman mia madre rispose: “Dovrete passare sul mio cadavere: in casa Savoia, si regna uno alla volta”. Appena nacqui, mi fece prendere le impronte digitali dal questore di Firenze, per timore che venissi rapito. Ce le ho, ma non le ho mai paragonate con le mie. Non vorrei brutte sorprese».

Si dice che, nel 1942, suo padre provò a trattare con inglesi e americani per capovolgere le alleanze.

«Io so per certo che mio padre, in tempi non sospetti ben prima della fine della guerra, è riuscito ad avere contatti con inglesi e americani, passando le linee nemiche, il filo spinato, e andando in Svizzera. Ebbe dei colloqui per affrancare l’Italia da Hitler: me l’ha detto un giornalista inglese che era nei servizi segreti, nell’M5, durante la guerra. Confido di avere presto le prove».

Vorrebbe cambiare i libri di storia? L’idea che i Savoia avessero assecondato Mussolini fino al 25 luglio del 1943, quando fu sostituito da Badoglio?

«È quello che voglio e sono sicuro di riuscirci. Conosco due storici che ci stanno lavorando. Mio padre non avrebbe fatto nulla del genere senza il mandato di Vittorio Emanuele III: sarebbe stato alto tradimento. E quando la vulgata dipinge la regina Maria José come antifascista e ribelle, come una birbona che voleva accelerare la fine della guerra, evidentemente racconta di una sovrana che lasciava trapelare cose risapute e condivise in famiglia».

Suo padre è morto quando lei aveva quattro anni. Non ha lasciato agende, diari?

«Sì, ma su questo non una parola. È ovvio che la sua fosse una missione segretissima».

È morto in Argentina, dov’era andato a cercare fortuna dopo la guerra. Ha ricordi di lui?

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«Se ci penso, vedo un uomo alto, non sento la sua voce, non ne riconosco la gestualità».

Lei che bambino è stato?

«Non ho parlato sino alla fine della guerra. Poi, quando ci siamo rifugiati alla corte belga, ho iniziato di colpo a parlare fluentemente francese, quindi italiano… Per il resto, sono stato mirabilmente allevato da una donna che mi ha dato tutto l’affetto di una madre e la severità di un padre. A nove anni, mi ha messo in collegio in Inghilterra, che non era una punizione, ma un punto di arrivo. Impari l’appartenenza a qualcosa: è una sfida positiva, porti la giacca di quel collegio, sei in una squadra di cricket. In Italia, ho fatto il servizio militare anche se potevo essere esonerato, unico figlio di madre vedova. Ho votato, grazie al pronunciamento di un pretore perché non si era certi che ne avessi diritto».

Mi spieghi meglio perché era infelice guardando le autorità sul palco per i 70 anni della repubblica.

«Perché la Monarchia non era impopolare nel ‘48 quando la repubblica ha vinto di misura il Referendum. La gente ancora ci ama, ma i giornali e i politici hanno sempre infierito. Le leggi razziali e la dichiarazione di guerra restano punti fermi negativi nella storia dei Savoia. Ma il Re era colpevole come la maggioranza degli italiani, e non era fascista. Mi dispiace che nessuno ricordi mai che la Famiglia Reale abbia avuto dieci prigionieri di guerra e due morti: uno è mio zio Amedeo l’altra è Mafalda di Savoia, uccisa nel Campo di Buchenwald. O che abbiamo istituito i carabinieri, i bersaglieri… E che Umberto II prima di partire per l’esilio liberò le forze armate dal giuramento alla Corona assicurando continuità alla Repubblica».

Che altro non le piace?

«In altri Paesi, le ex Monarchie non vengono ignorate, anzi. In Italia, sembra che prima della repubblica non vi sia stato nulla. A me piacerebbe che noi Savoia potessimo ancora servire questo Paese, pur senza ambizioni politiche».

Come sono trattati in Europa altri Re «virtuali»?

«Nel 1995, Duarte di Braganza voleva sposarsi a Sintra e il presidente del Portogallo ha voluto che lo facesse a Palazzo Reale. Michele di Romania abita a Palazzo Reale a Bucarest. Simeone di Bulgaria ha avuto le terre dissequestrate, le ha donate di nuovo allo Stato e abita in un’ala di Palazzo Reale. Alessandro di Jugoslavia abita anche lui in un’ala di Palazzo Reale. Io abito a Castiglion Fibocchi, nella campagna di Arezzo, in una casa colonica».

Perché ride?

«Perché ci ho fatto l’abitudine. Come ai gioielli della Corona. Il Re li consegnò al governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi, dicendo: dalli a chi di diritto. E li ha tenuti la repubblica. Bisognerebbe farli sbloccare: se li vuole Vittorio Emanuele è meglio, ma io darei il 70 per cento alla Croce Rossa, il 30 per cento lo terrei. Se può, scriva anche che al referendum Costituzionale voterò no. Dà troppo potere a un lato solo della politica».

In questi 70 anni, ha mai sentito che si potevano creare le condizioni per un ritorno della Monarchia?

«C’è stato il timore che accadesse da parte del governo, ma non la speranza da parte nostra. Ai tempi del presidente Giovanni Gronchi e poi di Antonio Segni e del Piano Solo, c’era un clima torbido: la Monarchia per alcuni era qualcosa a cui agganciarsi per ritrovare stabilità, ma qualunque apporto militare sarebbe stato respinto dalla famiglia reale italiana. Io avevo vent’anni ed ero seguito, spiato. Qualcuno pensava che fossi un pericolo».

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Come se ne accorse?

«Mia madre è figlia di Re, sorella di Re: a casa, sappiamo come funzionano queste cose».

Di nuovo ride. Perché?

«Se solo ce ne fossimo accorti meglio!».

Lei ha tre figli, avuti dalla sua prima moglie, Carla d’Orléans, figlia di Enrico, pretendente al trono di Francia. E ha undici nipoti, che nonno è?

«Un nonno quasi padre».

Sarebbe?

«Sono severo, non li vizio. Ma li amo molto: pensi che l’ultimo tatuaggio l’ho copiato a mia nipote ventiseienne Viola: è bianco, un fiocco di neve».

Non sono troppi 16 tatuaggi per uno che in teoria sarebbe Re?

«Tutt’altro. Il primo, un drago, l’ho copiato 50 anni fa al re Cristiano di Danimarca, me lo fece il suo tatuatore. Mia nonna, Elena d’Orléans, aveva una farfallina sul polpaccio. I tre fratelli di mia madre erano tutti Re di Grecia e tutti tatuati».

Nessuno però è stato, come lei, presidente dei tatuatori.

«Mi era sembrato gentile accettare. Riuscimmo a far approvare una legge a tutela di chi si tatua. Ma quando mi vidi fotografato tra i palestrati col piercing ebbi un moto di dignità».

A Firenze, nel 2004, parlò fra i no global.

«Mi interessano l’ecologia, l’ambiente, l’energia rinnovabile, ma non sono un verde. Fu molto interessante, c’era anche un attivista francese del partito dei contadini che si fa sempre picchiare dalla polizia. Divertentissimo».

Come ha educato i suoi figli?

«Militarmente. In barca, d’estate, facevamo all’improvviso abbandono nave. In pochi secondi, erano tutti nelle scialuppe con derrate di emergenza. E, a inizio stagione, li spedivo in piscina vestiti: se si casca in acqua, bisogna spogliarsi appena possibile, se no non si nuota. Mafalda, Bianca e Aimone hanno avuto per istruttore di nuoto Umberto Panerai, portiere della Nazionale di pallanuoto: aveva le reti più imbattute di Zoff».

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Perché tanto rigore?

«È l’educazione che ho ricevuto anch’io, con lezioni di sci, scherma, judo. Una volta, nel palazzo reale di Atene, col judo, Costantino mi ha dato un sacco di botte. Anche Sofia di Spagna è una fuoriclasse. Poi, ho volato tanto. Come mio padre, che fu pioniere. Io, più modestamente, sono riuscito ad avere un incidente con tre mesi di sedia a rotelle: finendo sui fili dell’alta tensione e ho messo al buio il paese del Borro. Nella vita, non mi sono annoiato».

Ha quasi fatto il giro del mondo.

«Mi manca solo il Polo Sud. Molti viaggi li ho fatti con Silvia, mia moglie. Ci conosciamo dal 1976, abbiamo girato l’Africa noi due soli su una Land Rover, siamo stati al Polo Nord, ci siamo fatti sequestrare i cani in Finlandia e siamo rimasti a piedi con la slitta. Silvia è meravigliosa. È medaglia al merito della Croce Crossa, ha soccorso i terremotati di Larino e i feriti in Iraq, nel pieno di una guerra vera. Ora sta scrivendo un libro sugli animali: in campagna abbiamo avuto capre, due lupi domestici e anche una cammella: ce la regalò Nando Orfei del circo».

Dieci anni fa, sua moglie le è stata accanto anche nella prova più difficile: lei ha avuto una bambina, Ginevra, dalla regista olandese Kyara van Ellinkhuizen. L’ha riconosciuta, e la piccola è nata Down. Come sta?

«Cammina bene, parla bene, per fortuna. Va a scuola in una classe normale, aiutata da una maestra di sostegno. I miei rapporti con la sua mamma sono abbastanza buoni».

All’inizio, i giornali titolavano su un «Kramer contro Kramer», c’erano le carte bollate e la sua ex andava ospite nei talk nazionalpopolari. Si aspettava tanto trambusto?

«Ho sofferto molto, ho pagato duro. Mi dispiaceva non di essere la causa di una nuova vita, ma di fornire un’altra occasione per infierire sul nome della famiglia. Silvia ha saputo starmi accanto in maniera straordinaria».

Che progetti ha per i prossimi anni?

«Ristabilire la verità storica sugli anni della guerra. E ho chiesto a Greenpeace di prendermi nell’equipaggio di una delle sue navi. Mi interessano le missioni scientifiche, e contrastare la caccia alle balene. Forse sono anziano, ma spero che mi accettino».

(Sotto, dall’album di famiglia, Aimone, figlio di Amedeo, il giorno delle nozze con Olga di Grecia, il 16 settembre 2008).

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