Natura dell’uomo e diritto. 2° parte

di Merico CAVALLARO

Nonostante lo sconvolgimento tecnologico a cui l’uomo ha dato luogo nel periodo di questi ultimi due secoli l’uomo nel corso della sua esistenza ha dimostrato di non essere capace di cambiamenti repentini di schemi di vita che, invece, sono sedimentati con il passare del tempo. A sua volta il diritto, che è il sistema che regola la vita dell’uomo in base ai suoi bisogni e i rapporti con gli altri, sorto per soddisfare queste necessità, deve tenere conto di quello che è il proprio oggetto. Diversamente dall’utilità per l’uomo (inteso in questo duplice senso generale, ossia ontologicamente e socialmente), il diritto non può avere senso e funzione per la comunità, non può avere fondamento, non servirebbe a nulla se non a imporre la norma del potente di turno e può essere soverchiata da quello che gli succede nel governo: non proprio una situazione di anarchia politico-giuridica ma una condizione tipo l’anaciclosi di cui abbiamo visti nei precedenti articoli. Impossibile, dunque, non considerare la “natura” dell’uomo (origine, bisogni, tendenze, aspirazioni, ecc.) e, quindi, la coscienza di questa natura e il perpetuarsi di questa coscienza, il suo passaggio alle generazioni successive, la traditio. Il relativismo dei principi giuridici non garantisce la certezza del diritto dato che arbitrio e convenienza possono mutare in maniera repentina lasciando i cittadini nell’impossibilità di conoscerlo e adattarlo ai propri sistemi di vita, sprofondando contemporaneamente il sistema della giustizia nell’impossibilità di assumerne i principi e adeguarne le proprie strutture. La cosa più difficoltosa fra queste due è chiaramente quella dell’adeguamento dei cittadini ai nuovi criteri sia per quanto concerne l’educazione a nuovi schemi del diritto quanto per quel che concerne l’attuazione di schemi di vita secondo un nuovo diritto: nuovi schemi di vita e nuova morale. Tutto questo lasciando a parte al momento ogni riflessione sul “chi” verrebbe a determinare una nuova morale.

“Natura” ha una plurivocità di significati che hanno come comune denominatore un concetto essenziale di quella che è la realtà del mondo e del suo funzionamento.

Ci sono tante cose che noi facciamo che rimangono inalterate nel tempo, attraverso le generazioni e addirittura i millenni. Noi facciamo queste cose per disposizione naturale o per “abitudine” (habitus), cioè per apprendimento a fare determinate cose perché così vanno fatte in base ad un uso pratico. Agire secondo natura è lasciare andare le cose secondo la loro disposizione, come l’acqua, che scorre verso il basso, oppureusare le cose conformemente allo scopo per cui sono state create, come un cacciavite, oppure per le quali aiutano la nostra vita, come mangiare frutta. Il caso del cacciavite, poi, ci consente di approfondire il concetto di agire secondo natura nel senso di “usare una cosa in maniera appropriata” oppure “inappropriata”: se uso un cacciavite, che è un oggetto creato dall’uomo per avvitare e svitare le viti, ne faccio un uso appropriato quando metto e tolgo le viti mentre ne faccio un uso inappropriato, che nulla ha a che vedere con il motivo per cui è stato ideato dall’uomo, come danneggiare o uccidere un individuo. L’esempio dell’acqua è illuminante: l’acqua scorre verso il basso, noi possiamo tentare di arginarla, di deviarne il corso ma quando vogliamo ostacolarne il normale flusso, l’acqua riprende il proprio cammino. La natura si riprende ciò che le è stato tolto. Comportarsi secondo natura vuol dire anche rispettare le cose per quel che sono senza cercare di cambiarle: forzare la disposizione di una cosa è farle violenza e non rispettarne la natura.

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