Perché non lo dici? Il silenzio del Papa sulla matrice delle recenti stragi

Tratto da  “L’Intraprendente” Giornale d’Opinione del Nord  – 4 agosto 2016

«Questa è una guerra per i soldi, non di religione. Tutte le religioni vogliono la pace», sostiene Papa Francesco, dopo l’attacco jihadista in una chiesa. Ancora una volta omette la matrice islamica del terrore. E così ci espone ancora di più alla sua violenza

Sì, ma il Papa che fa, che dice? Gli hanno appena sgozzato un prete in chiesa, un novello miles Christi il primo martire cristiano in Europa del terzo millenio. E hanno fatto irruzione in una chiesa, le bestie, profanato il sacro tabernacolo, lordato con le loro urla e e loro armi la Casa del Signore. E lui tace ancora, non si muove, non agisce? Non mostra il suo volto fiero e addolorato e non fa sentire sdegnata la sua voce?

Tutti si erano posti questa domanda, all’indomani del barbaro attacco alla chiesa in Normandia. E così oggi sul volo per Cracovia, il Papa ha parlato, ma negando l’evidenza, rifiutando di ammettere che si è trattato di un attentato islamico, e che più in generale ci sia uno scontro di civiltà alimentato dalla fede altrui. Anzi, dice il Pontefice, “Questa è guerra, ma non di religione. C’è guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli, ma non di religione”. E poi aggiunge: “Tutte le religioni vogliono la pace, capito?”. Tutte le religioni, sua Santità? Forse anche quella in nome della quale i due assassini nella chiesa gridavano “Allahu Akbar”?

Ma è il seguito inevitabile di quello che aveva fatto sapere ieri alle agenzie, quando si era limitato a parlare di una “violenza assurda” ed espresso “la condanna più radicale di ogni forma di odio” e infine suggerito “la preghiera per le persone colpite”. Tutto qui. Quattro paroline buttate lì, che sembravano la replica di quelle dette mille altre volte da mille altri leader, comunicati di circostanza, cordoglio istituzionale, generiche condanne contro generici assassini. Un modo vacuo per riempire il silenzio.

No, sua Santità, detto con tutto il rispetto, è inaccettabile. Non ci saremmo aspettati, per carità, un discorso roboante alla Ratisbona, come quello pronunciato da Papa Benedetto esattamente dieci anni fa, ma ci saremmo aspettati e meritati – almeno questa volta, sì – che lei desse unnome al Male e al suo artefice, che dicesse che si è trattato sì, di “terrorismo islamico”, “islamico”, sua Santità, non ci stancheremo mai di ripeterlo. E che ammettesse che c’è un solco incolmabile tra il nostro modo di essere e di credere e la deformazione di una fede che ci odia profondamente e che già nella sua natura, come rilevava Ratzinger, abbinaLibro e Spada.

Ci saremmo aspettati che lei desse un nome anche alle vittime, che ammettesse che i cristiani oggi sono martiri, purtroppo anche in Europa, e che il cristianesimo è in pericolo, minacciato non tanto e non solo dalla scristianizzazione atea ma dall’islamizzazione, dalla sottomissione al credo altrui. Dovrebbe preoccuparsi di questo, sua Santità, dovrebbe avere a cuore il problema, e chiedersi come avviare una nuova, vera, evangelizzazione in Occidente, lei che della Chiesa è il capo.

E poi – dopo aver dato il giusto nome alle cose come esige il realismo evangelico – avrebbe dovuto dare (o almeno così crediamo) una risposta forte, pronunciare parole di verità e di giustizia, non riti verbali all’insegna del buonismo, ché la libertà (anche di credere) si coniuga sempre alla verità. Non può esserci Libertà senza Verità, insegna il Vangelo. E non può fare ilgesuita anche su questo, Sua Santità, non può attaccarsi a giri di parole, a compromessi linguistici e relativistici, a ipocrisie casuistiche. No, l’esigenza della verità impone che siano dette parole di giustizia e non solo di misericordia, che invitino a recidere l’origine del Male, a schiacciarlo come il demonio, e non a comprenderlo o a tendergli la mano; e ribadiscano che il dialogo multireligioso, le recite multiculti, i cori da ong della fede fanno perdere la verità dell’unica Parola, cui dovremmo credere, e confondono le acque, ci rendono spaesati, ambigui, meno saldi nella fede.

Siamo disorientati, sua Santità, per questo le scriviamo. Non solo terrorizzati dal male che incombe e insanguina le nostre case, le nostre chiese, i nostri luoghi di ritrovo; ma siamoimpauriti, perché non abbiamo più punti di riferimento, autorità spirituali cui rivolgerci e appellarci, sapendo che diranno il giusto e sapranno condurci oltre la tempesta. Abbiamo un disperato bisogno di Buoni Pastori e di validi condottieri che sappiano tenere compatto il gregge, rassicurarlo e difenderlo.

E invece siamo allo sbando. Fatichiamo a riconoscerci come comunità e di conseguenza fatichiamo a riconoscere il nemico. E siamo costretti a sentire le prediche di suoi diretti accoliti, come monsignor Galantino, che esorta a “evitare logiche di chiusura e vendetta” e a “contribuire alla costruzione di una società riconciliata e aperta alla speranza”, senza però dirci come fare a recuperare la nostra identità smarrita, che è il primo presupposto per poterci poi aprirci agli altri, o respingerli se è il caso.

Ah, se tornasse Lui sulla Terra, come diceva il grande Enzo Jannacci, forse ci prenderebbetutti a schiaffi. E ci direbbe forse, come ai farisei, “ipocriti, state barattando la vostra fede per i vostri opportunismi, state celebrando idoli e uccidendo il vostro Dio”.

Anche perché non è vero che tutte le strade portano a Lui: alcune conducono almartirio cristiano da eroi, altre al suicidio del kamikaze. E non sono certo la stessa cosa.

 

DI GIANLUCA VENEZIANI

 

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