Piemonte da salvare: la Regia Mandria di Chivasso, il “tenimento” voluto da Carlo Emanuele III per i cavalli destinati alla Corte sabauda e all’esercito

Testo e foto di Paolo Barosso

Fu il biellese Giuseppe Giacinto Bays (1711-1776), architetto e misuratore generale, su incarico di re Carlo Emanuele III di Savoia, a elaborare il progetto delle eleganti strutture architettoniche che formano il nucleo centrale, con funzioni ammnistrative e direzionali, della Regia Mandria di Chivasso, tenimento alle dipendenze della Corona destinato all’allevamento dei cavalli.

Era il 1763 e nell’arco di pochi anni, con una velocità sorprendente, fu ultimata la “nuova fabbrica”, ancora oggi esistente nelle campagne a nord-est di Chivasso, voluta dai Savoia allo scopo di sviluppare con criteri moderni e razionali l’allevamento e la riproduzione dei cavalli destinati ai fabbisogni della Corte (cavalli da caccia e da carrozza) e dell’esercito, prendendo come modello gli “haras” (centri di allevamento) francesi e le tenute già operative nei più avanzati Stati europei.

L’allevamento dei cavalli era già praticato dai Savoia nelle mandrie di Santhià, Apertole e Desana nel Vercellese, in quelle di Racconigi, Stupinigi e Venaria nel Torinese, nella tanca di Paulilatino in Sardegna e nell’haras royal di Annecy in Savoia, ma si ritenne necessario fondare un centro specializzato che rispondesse alle più recenti acquisizioni della tecnica e della scienza in materia di gestione e selezione delle razze equine.

Lo stesso re Carlo Emanuele III, colui che volle la creazione della Regia Mandria di Chivasso, si era fatto promotore nel 1769 della fondazione della Scuola veterinaria piemontese, originariamente insediata a Venaria Reale e successivamente, per un certo periodo, proprio alla Mandria di Chivasso, prima di stabilire la propria sede a Torino. Primo direttore della Scuola, finalizzata soprattutto, nella sua concezione iniziale, alla cura dei cavalli per l’esercito e divenuta nel 1934 Facoltà di Medicina Veterinaria, fu Giovanni Brugnone (1741-1818), che diresse anche la Mandria di Chivasso e fu autore di importanti pubblicazioni sul tema dello studio dei cavalli e del loro allevamento.

Il primo trattato del Brugnone che ricordiamo è La mascalcia, ossia la medicina veterinaria ridotta ai suoi veri principi (Torino 1774) mentre il secondo, dal titoloTrattato delle razze de cavalli (Torino 1781), è importante ai nostri fini perché vi è allegato il “disegno della fabbrica della regia mandria di Chivasso e quello de’ prati e pascoli”.

Ritratto equestre di re Carlo Emanuele III di Savoia, attribuito a Maria Giovanna Clementi, opera in deposito presso la Reggia di Venaria Reale

Come si evince dagli scritti del Brugnone, il progetto della Mandria di Chivasso non riguardò soltanto l’aspetto architettonico, relativo alla costruzione delle palazzine direzionali e di altri edifici, ma coinvolse un vasto territorio di 767 ettari, compreso tra Chivasso, Rondissone, Mazzè e Verolengo, che, acquistato dalla Corona per arricchire il patrimonio regio, dovette essere riorganizzato dal punto di vista amministrativo, legale, sociale, religioso e agricolo allo scopo di adeguarlo alle esigenze legate all’allevamento e selezione delle razze equine.

La scelta del territorio chivassese fu ben ponderata: l’area acquistata dalla Corona era lontana dai boschi (da cui potevano provenire i lupi, pericolosi per i cavalli), sgombra da abitazioni e già adibita da secoli al pascolo. L’unico problema riscontrato era la scarsità d’acqua per l’irrigazione dei campi e la produzione del foraggio, ma vi si pose rimedio con l’allungamento e l’ampliamento di portata del canale di Caluso, voluto dal Maresciallo di Francia Charles de Cossé de Brissac nella seconda metà del Cinquecento, durante l’occupazione francese del Piemonte, e per questa ragione chiamato anche nelle fonti del tempo “Bealera Brissacca”.

L’area centrale della Corte d’onore dove sorgeva la fontana con l’abbeveratoio per i cavalli

Al centro dell’ampio possedimento, sorse la nuova fabbrica progettata dall’architetto Bays, che comprendeva le abitazioni riservate ai dipendenti, i locali adibiti a uffici direzionali, gli spazi per i fienili, protetti da grate in legno studiate per l’arieggiamento degli ambienti, i depositi per gli attrezzi agricoli, le scuderie (divise, come i pascoli, tra maschi e femmine) per il ricovero degli equini sistemate al piano terra sotto ordinate sequenze di archi (nei mesi di luglio e agosto gli animali venivano trasportati sulle montagne di Oropa nel Biellese). Furono anche allestiti, per la prima volta, delle strutture specifiche e separate in cui collocare gli animali malati o bisognosi di cure.

Gli edifici, costruiti in mattoni a vista con coperture lignee “alla piemontese”, furono disposti attorno a tre cortili, di cui quello centrale concepito come “Corte d’onore”, grande spiazzo in cui confluivano, attraverso quattro porte, i due grandi viali di attraversamento della tenuta. Come risulta da una delle incisioni realizzate da Giuseppe Piero Bagetti a fine Settecento, al centro della Corte d’onore era collocata una grande vasca circolare con fontana per l’abbeveraggio degli animali, purtroppo smantellata nel corso del Novecento, la cui posizione originaria è segnalata dal disegno della pavimentazione con cui in tempi recenti è stata risistemata la piazza, intitolata al sovrano fondatore della Mandria di Chivasso, Carlo Emanuele III di Savoia (notiamo a titolo di curiosità che, secondo le indicazioni del Brugnone, la vasca per l’abbeveraggio avrebbe dovuto essere costruita in legno, perché la pietra raffredda l’acqua potendo arrecare danno alla salute dei cavalli, ma questo suggerimento non fu seguito).

Veduta del corpo di fabbrica a tre piani fuori terra che ospitava gli uffici direzionali della Mandria

A seguito della Rivoluzione Francese e del nefasto impatto che ebbe sulla monarchia sabauda in Piemonte, caduta nel 1798 con la partenza di re Carlo Emanuele IV dalla capitale, Torino, iniziò il lungo declino del “tenimento” che, perdendo la sua originaria funzione e divenuto bene nazionale, venne concesso in affitto a una società che vi impiantò un allevamento di pecore di razza pregiata. Dopo la Restaurazione, con il ristabilimento dell’autorità sabauda, vi fu un effimero tentativo di far rinascere la Mandria di Chivasso, ma già nel 1834 la tenuta passò sotto la gestione della Regia Intendenza di Finanza, nel 1855 venne acquistata da un privato e nella primavera del 1859 fu teatro delle operazioni militari volte a predisporre le difese contro la possibile avanzata delle truppe asburgiche.

Nella prima metà del Novecento la situazione non migliorò: la grande tenuta venne coinvolta nei tristi eventi della Grande Guerra, con l’insediamento nel 1918 di un campo di aviazione e riparazione di aerei e l’installazione nel 1919 di baracche destinate a ospitare i volontari del costituendo esercito nazionale polacco, in fase di organizzazione dopo l’acquisizione dell’indipendenza da parte della Polonia.

Una delle quattro porte di accesso alla Corte d’onore

Dal dicembre 1919 si provvide infine alla lottizzazione dei terreni della Mandria, che furono venduti a privati, compromettendo per sempre l’unitarietà del complesso, mentre un quarto della tenuta venne poi acquistato dal comune di Chivasso. Gli edifici che formano la fabbrica centrale del complesso, con i grandi padiglioni a tre piani per le dimore e gli uffici del personale dirigente, i fienili, i depositi per gli attrezzi, le stalle per gli equini, senza dimenticare la pregevole chiesa parrocchiale di Sant’Eligio, di forme severe all’esterno, ma adorna di raffinati decori in stucco di gusto rocaille all’interno, appaiono oggi solo in parte restaurati, grazie agli interventi realizzati dai privati, mentre le porzioni di struttura in mano pubblica versano in stato di degrado architettonico e ambientale (malgrado la lodevole opera di sensibilizzazione svolta dall’associazione “Pro Mandria”), con cedimenti e crolli segnalati anche da articoli giornalistici.

Scorcio delle maniche laterali con gli archi delle scuderie e dei fienili

Tale situazione rende urgente l’avvio di una campagna di recupero e di valorizzazione di ampio respiro, capace di coinvolgere il bene nella sua totalità, dai terreni circostanti con destinazione agricola, che vanno tutelati, alla struttura gestionale settecentesca posta al centro, e volta a inserire a pieno titolo la Mandria di Chivasso nel circuito turistico delle Residenze Sabaude, di cui storicamente è parte integrante.

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