Quando l’Italia perse la sovranità dispute di ieri, oggi, domani

DI ALDO A. MOLA

Le roventi dispute suscitate dalla recente “interferenza” dell’Ambasciatore degli USA in Italia nel referendum prossimo venturo evocano quelle imperversanti negli anni 1941-1948, scanditi dal cambio tra monarchia e repubblica nel giugno 1946. Quando il governo italiano, presieduto da Benito Mussolini, dichiarò guerra agli Stati Uniti (11 dicembre 1941), Washington decise la sostituzione di Casa Savoia con la repubblica. Dopo la resa del settembre 1943, il Paese fu  sottoposto alla Commissione alleata di controllo e all’Amministrazione militare, che dettarono  direttamente e indirettamente la “defascistizzazione” in settori vitali (a cominciare dall’istruzione, con misure severe, inclusa la revisione dei manuali scolastici), condizionando tempi e modi dell’“epurazione”, affidata a “esecutori locali”. Tra gli obiettivi dei governi susseguitisi dal 1944 al 1946 (Bonomi, Parri, De Gasperi) vi furono quindi l’emarginazione di Vittorio Emanuele III e la sospensione dello Statuto, bilanciate dalla concessione di affidare ai cittadini la scelta della forma dello Stato, cioè l’apparenza esterna. Umberto di Savoia accettò l’ineluttabile con il decreto luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, che voltò pagina nella storia d’Italia. Il Paese divenne terreno di concorrenza spietata tra i vincitori molto prima che la guerra terminasse, perché, appunto, si trattava di organizzarne il dopoguerra. Mentre i socialcomunisti auspicavano l’arrivo dell’Armata Rossa, democristiani, azionisti, liberali e monarchici miravano a radicare la Quarta Italia nell’Occidente. La lotta fu senza esclusione di colpi. Tra i più pesanti vi furono le due interviste carpite a Umberto e ad Aimone di Savoia, duca d’Aosta, sulle responsabilità dell’intervento in guerra e sui modi nei quali avveniva l’ “epurazione”: dichiarazioni strumentalizzate all’estero per screditare la monarchia e per isolarla all’interno, in modo da  costringerla a subire la tutela sempre più smaccata del governo.

Il 2-3 giugno 1946 circa 25 milioni di cittadini su 28 milioni di elettori scelsero la forma dello Stato ed elessero l’Assemblea costituente. Il referendum istituzionale fu il punto di arrivo di un lungo processo che impedì un confronto “alla pari” tra monarchici, privi di solidi appoggi internazionali (in Gran Bretagna i socialisti avevano sconfitto Churchill), e repubblicani, suddivisi in partiti ciascuno dei quali contava sul sostegno delle grandi potenze, a loro volta contrapposte nell’ormai iniziata Guerra Fredda. Secondo i dati ufficiali al referendum la repubblica ottenne il 54% dei voti validi, ma solo il 50,1% dei votanti e appena il 45% degli elettori. Nacque minoritaria.

Al referendum l’Italiarisultò lacerata: un’area prevalentemente monarchica (il Mezzogiorno, le isole e il Lazio) e una quasi compattamente repubblicana (Toscana, Umbria, Marche e Alta Italia). Tuttavia in ognuna delle regioni settentrionali la monarchia prevalse almeno in una provincia (Padova nel Veneto; Bergamo in Lombardia) e persino in due (Asti e Cuneo in Piemonte). Non sapremo mai come avrebbero scelto Trieste, Gorizia, l’Istria, Fiume, Pola, Zara e Bolzano, tutte terre escluse dal referendum (perché occupate o in discussione e dal destino incerto),  con la promessa, mai mantenuta, di una consultazione successiva. Al voto non parteciparono quasi tre milioni di cittadini: i prigionieri di guerra ancora trattenuti dai vincitori benché il conflitto fosse terminato da un anno, centinaia di migliaia di persone “radiate” per motivi politici e circa un milione e mezzo di elettori non reperiti dagli uffici comunali. Caso numericamente ristretto ma politicamente significativo fu quello dei senatori del regno, “epurati” come corresponsabili dell’avvento e del mantenimento del regime fascista e quindi privati dei diritti politici e civili: non solo uomini politici, diplomatici, militari, magistrati, scienziati ma anche banchieri, industriali e “illustrazioni della patria”. Fra i tanti casi significativi bastino quelli di Giovanni Agnelli sr, fondatore e proprietario della Fiat, che morì nel dicembre 1945 ridotto a “spettatore”, Luigi Burgo, industriale cartario, e i massimi imprenditori e scienziati liguri. A impedire l’epurazione dell’ex ministro della Real Casa, Pietro d’Acquarone, accanitamente voluta da Carlo Sforza, intervenne Vittorio Emanuele III in persona. La maggior parte degli epurati fu reintegrata, ma “a babbo morto”, nel 1947, quando ormai non potevano più nuocere al nuovo regime. Anche il “moderato” Luigi Salvatorelli scrisse un libello contro i Savoia e Vittorio Emanuele III, colpevole a suo dire di “tre colpi di Stato” (comprese le dimissioni imposte a Mussolini).

Dopo anni di feroce demonizzazione della monarchia e una campagna referendaria dai toni esasperati, la consultazione si svolse senza incidenti di rilievo. Molti monarchici affermarono che il suo esito fu  viziato dalla “grande frode” attuata dal ministro dell’Interno, il socialista tortonese Giuseppe Romita, che “inventò” due milioni di voti a favore della repubblica. È una fiaba consolatoria per vinti e vincitori.  Sono invece documentate migliaia di grandi e piccoli brogli, che fecero la differenza, come accade e potrà accadere in tutte le consultazioni elettorali, quando si vince o si perde per poche schede, come potrebbe accadere in autunno. La vera differenza nel 1946 venne fatta dalla Corte Suprema di Cassazione che il 18 giugno (quando  re Umberto già era partito per l’estero, deplorando il “gesto rivoluzionario” del governo che alle 0.15 del 13 giugno aveva assegnato le funzioni di capo dello Stato a De Gasperi) sentenziò che per “votante” si intende “chi esprime voto valido” anziché quanti vanno a votare: un “colpo di stato” contro la lingua italiana messo a segno dal vertice della magistratura, contro il parere del suo presidente e del procuratore generale. Se il quorum fosse stato calcolato sui votanti anziché sui voti validi la differenza tra monarchia e repubblica sarebbe risultata di appena 200.000 unità, tanto da esigere la verifica delle schede.  Ma il ministro della Giustizia, il comunista Togliatti, mise le masi avanti: il 10 giugno disse che forse erano già state distrutte…

Il punto è che il 2-3 giugno 1946 l’Italia non era più uno Stato pienamente sovrano ma un Paese sconfitto. I vincitori (USA, URSS, Gran Bretagna, Francia, Jugoslavia, Grecia… sino a Ucraina e Bielorussia) erano divisi su tutto tranne che nella volontà di ridurla a Stato di seconda fila, come infatti accadde con il Trattato di pace imposto il 10 febbraio 1947.

Se è nota la condotta dei partiti consociati nel Comitato centrale di liberazione nazionale, meno approfonditi rimangono l’orientamento di organizzazioni elitarie dai solidi legami internazionali (è il caso della Massoneria) e i modi nei quali il cambio istituzionale fu percepito (e propiziato) all’estero e da parte di quanti ebbero chiaro che il mutamento riguardava la forma ma non l’essenza dello Stato. L’Italia aveva scongiurato la debellatio proprio con la resa senza condizioni del settembre 1943, ma rimase sotto controllo dei vincitori, dai quali dipendeva la ricostruzione. Se si confrontano i guai nostrani con quelli della Germania e del Giappone si deve  convenire che poteva andare assai peggio. Ma la decurtazione della effettiva identità di Stato sovrano rimase: come accade per la perdita di altre virtù, è difficile rifarsi la sovranità. Occorrono lunghi esercizi spirituali e materiali. Dopo dieci anni di anticamera, solo nel 1955 l’Italia fu accolta all’Assemblea delle Nazioni Unite, insieme con la Spagna di Franco. Il passato forse è scomodo, ma va ricordato tutto, anche per capire chi oggi in Italia lavora per la Patria e chi per l’egemonia degli stranieri. (*)

 

(*) Il Centro europeo Giovanni Giolitti per lo studio dello Stato dedica un covnegno alla transizione dalla monarchia alla repubblica (Vicoforte, 29-30 settembre). Vi saranno presentati inediti sulla linea tenuta da USA, Francia e Svezia. Verrà anche proiettato il film di Vittorio De Sica “Nascita della Repubblica”, prodotto per la RAI.  Per informazioni: www.giovannigiolitti.eu.

 

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