Repubblica e monarchia nel pensiero di Platone – Parte 2

di Merico Cavallaro

Abbiamo visto nel precedente articolo che la preoccupazione di Platone non è quella di giustificare una forma di costituzione ma di comprendere quale possa essere la migliore costituzione per uno Stato che ha per fine il benessere della popolazione e per questo conduce una continua analisi in tutto il corso della sua vita. Abbiamo visto che la società con la migliore costituzione sarebbe quella determinata eticamente (Repubblica) ma non attuabile perché sotto l’aspetto intellettivo e morale gli individui sono troppo diversi e si finirebbe, perciò, con l’escludere buona parte dal governo dei migliori rischiando di non far comprendere che questi “migliori” governano per tutti sulla base di garanzie morali e costituzionali, con il risultato che gli esclusi potrebbero dar luogo a eventi sediziosi come nei casi dello sterminio delle comunità pitagoriche in diverse città della Magna Grecia. Abbiamo accennato che quella delle Leggi è un’opera che costituisce una sorta di progetto attuabile perché si viene a confrontare con necessità pragmatiche (cosa che non fa la Repubblica)  che si determina socialmente e va anche a coinvolgere tutta la popolazione dei cittadini nel governo, contemperando cariche scelte in base al merito con cariche distribuite a sorte, cioè con sistema propriamente democratico.

Però, dobbiamo anche notare che per Platone i requisiti per cui una persona può agire, lavorare, rapportarsi con gli altri, sono fondamentalmente due: la competenza e la morale; solo queste doti possono essere la garanzia di equità e onestà intellettuale altrimenti tutto scade nel relativismo (e questa è la posizione, ad esempio, dei sofisti) e ogni azione non ha altro fine che l’interesse personale. Abbiamo avuto modo di individuare con il passo di Repubblica, 587 c 6-588 a 11, che nel presentare la peggiore e la migliore figura costituzionale Platone dichiarava che quella del monarca è la migliore e nel contrapporla a quella del tiranno, la peggiore, fornisce l’immagine di una serie di requisiti morali, educativi e di competenza che la caratterizzano e senza dei quali parliamo di qualcuno che fa politica ma non ci riferiamo più al politico possessore dell’arte regia che intende Platone. Quando qualcuno obietta che un solo uomo  potrebbe avere tendenze dittatoriali, o governare per interesse personale, o governare a capriccio, non si fa una critica al Filosofo ateniese, perché questi è molto preciso: monarca ideale non può essere solo chi ha un ruolo dovuto all’educazione ricevuta, ma deve identificarsi con il bene dello Stato nel suo complesso avendo una funzione super partes o extra partes, un carattere formato in maniera che non può cambiare. Il monarca non si comporta a capriccio ma rispetta le norme in quanto individuo morale (potrebbe fare a meno delle leggi proprio perché individuo morale) che identifica la sua persona con il vasto panorama delle norme, cioè del diritto, delle tradizioni e consuetudini, dell’ordinamento costituito, del consenso popolare e non li stravolge e non governa mai per la propria affermazione personale bensì regna servendo gli altri nella più piena abnegazione della sua individualità. Platone, poi, non contempla mai il diritto alla successione nel regno solo perché figlio del precedente re.

Se Platone prevede quei requisiti di cui abbiamo visto poco sopra per il monarca è ovvio che una persona che non li possiede non potrà essere re. Su come venga scelto o su un’eventuale dimissione per intervenuti motivi che ne pregiudicano le funzioni, il Nostro filosofo non dice nulla, dobbiamo certamente ritenere che essendo educato sin dalla nascita debba provenire da un ambiente che garantisca una certa tradizione culturale e giuridica, fedeltà alle istituzioni nonché dedizione alle istanze sociali e ai bisogni della popolazione, ma dobbiamo tenere presente il fatto che per Platone l’educazione è data da una formazione continua e sempre soggetta a verifiche. Dunque, dobbiamo escludere che non basta il semplice requisito della nascita per acquisire il diritto di regnare.

platone

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