Spagna luglio 1936: tragico vuoto dei moderati

Di Aldo Mola

Sono gli uomini, sono i popoli, che combinano i guai, salvo darne la colpa alla “invidia degli dèi”. Le guerre civili, per esempio, non sono dovute alla maledizione dell’onnipotente, ma causate dalla protervia di alcuni e dall’impotenza di altri. Quadri geo-storici pressoché identici registrano scelte e condotte del tutto diverse. La storia ha più fantasia degli storici. Perciò va studiata. Insegna…

È il caso della Spagna, ove nel luglio di ottant’anni fa cominciò la guerra civile, chiusa nel 1939 con circa 400 mila morti, una repressione decennale, il lungo isolamento. Oggi il 75% degli elettori del Partito socialista operaio spagnolo (PSOE: identico nel nome, ma del tutto diverso da quello di allora) dichiara che il capo del Partito popolare, Mariano Rajoy, ha il diritto/dovere di formare il governo, per tre buoni motivi: il 26 giugno ha rivinto le elezioni, bisogna evitare una terza votazione in meno di un anno e scongiurare il caos, agognato solo dall’estrema sinistra di “Podemos” e da qualche nostalgico dell’odio.

Lo storico Fernando García de Cortázar (gesuita pensante) ha ricordato che il vero tema non sono i partiti né le fortune personali dei loro spesso meschini dirigenti. Il tema è “la Spagna”, portaerei dell’Europa verso le Americhe. Con buona pace di catalani, baschi, valenziani e galiziani, dopo inglese e cinese lo spagnolo è la terza lingua del pianeta. L’unità dello Stato, tutt’uno con la monarchia incarnata da Felipe VI, non è in discussione. I motivi unificanti prevalgono sugli appetiti locali. Lo si coglie anche dalla narrazione oggi prevalente dell’alzamiento del18 luglio 1936, quando i quattro generali (Sanjurjo, Mola, Franco e Queipo de Llano) disconobbero il governo di Madrid e intrapresero la riscossa nazionale. Nel suo corso e per decenni la guerra civile fu dipinta come duello mortale tra le due Spagne, la tradizionalista e la rivoluzionaria, la “afrancesada” e quella nazionalistica, la clericale e la massonica, la reazionaria e l’anarco-socialista, la borghese e la comunista. Le Spagne (ripete da tempo lo storico Paul Preston) erano tre: due estreme e una maggioranza di “moderati”. Che però rimasero pavidi e rassegnati. Furono le prime vittime della tragedia. Colpevoli perché la Storia non perdona diserzioni.

Oggi si ammette che quel conflitto non era affatto scritto nel “libro del destino”. Nacque per una serie di errori della dirigenza partitica e parlamentare, inerte dinnanzi alla violenza dell’estrema sinistra che dal 1931 incendiò chiese e monasteri e perseguitò ordini religiosi e cattolici. Nel 1931, dopo la partenza di Alfonso XIII di Borbone per l’esilio (senza abdicazione) all’indomani della modesta vittoria dei repubblicani nelle elezioni amministrative, il governo espulse i gesuiti e radiò dall’Esercito i militari migliori, come Emilio Mola Vidal, mentre José Sanjurjo, fallito un pronunciamento militare, riparò in Portogallo.

In risposta al quotidiano degrado dello Stato, con fredda tenacia e specchiata onestà Mola pianificò la riscossa. A scatenarla, il 18 luglio 1936, fu la sorte del deputato centrista Calvo Sotelo: sequestrato a casa e assassinato dai “rossi”. “Director” della cospirazione Mola trasformò il colpo di stato in volontà della nazione. Governatore militare della Navarra, col robusto seguito di requetés e nazionalisti, affidò la guida suprema a Sanjurjo, che però morì in incidente aereo mentre rientrava dal Portogallo. Nell’incontro segreto di Burgos optò per il generalissimo Francisco Franco y Bahamonde, che avanzava da sud al comando del “Tercio”.

Le direttive di Mola furono spietate: azione rapida e sterminio del nemico. Suo fratello fu sequestrato e fucilato dai “rossi”, che fecero altrettanto con José Antonio Miguel de Rivera, capo della Falange (movimento nazional-riformista, repubblicano). “El director” incitò i nazionalisti a insorgere in Madrid (la “quinta colonna”, sanguinosamente annientata dai repubblicani) ma fallì l’obiettivo. Come Sanjurjo morì in incidente aereo. Franco rimase capo indiscusso e attuò l’epurazione, lenta metodica, da ogni “infezione” antinazionale. Nel suo corso, la guerra ispano-spagnola divenne premessa generale della seconda guerra mondiale, come documenta Pierpaolo Barbieri in L’impero ombra di Hitler (Mondadori, candidato al Premio Acqui Storia). La Spagna divenne teatro del conflitto tra l’Unione Sovietica (Palmiro Togliatti e Luigi Longo vi furono in prima fila, con crimini efferati ai danni di anarchici, democratici e trozkysti) e l’Occidente, che infatti riconobbe Franco sei mesi prima del suo ingresso in Madrid, proprio per sottrarlo all’abbraccio di Hitler e dello stesso Mussolini che in Spagna aveva mandato il Corpo Truppe Volontarie (CTV, acronimo dello spagnolo: Cuándo ten vas? Cioè Quando te ne vai?).

Asceso al governo, il socialista Zapatero (ora vezzeggiato dalla vanesia Mogherini) invece di occuparsi degl’interessi veri della Spagna riattizzò conflitti sopiti: anticlericalismo vecchia maniera spacciato come promozione dei “diritti civili” e una Legge della memoria (di cui non si sente alcun bisogno) per cancellare le tracce dell’età franchista quando questa era ormai divenuta oggetto di storia, non di attualità politica. Imitò gli aspetti più ottusi del fanatismo del regime franchista, mentre la Spagna da tempo svolgeva un ruolo primario dal mondo islamico alle Americhe grazie al socialista González e al cattolico Aznar.

Ci fu e perdura un ritardo nella percezione della Spagna da parte di molti Paesi dell’Europa centrale, inclusa l’Italia che ne ostacolò l’ingresso nell’Unione europea per misere ragioni commerciali, drappeggiate con motivazioni ideali. Troppi la considerano solo una terra ove si balla tutta la notte e di giorno ci si sparapanza al sole “a la orilla del mar”. Si dimentica che, conclusa la Riconquista cristiana con la liberazione di Granada dall’emiro islamico, fu la Spagna di Carlo V a creare l’Impero sul quale il sole non tramontava mai. Nel suo ambito l’Italia, da Milano a Napoli e a Palermo, stava come il meno sta nel più, e ci stava bene. Quell’impero era anche opera sua, come ricordano i nomi di Cristoforo Colombo e di Amerigo Vespucci.

Ora gli Spagnoli si danno un governo di centro-destra, dopo due elezioni politiche e mesi di stallo trascorsi al riparo della monarchia, che ne costituisce la garanzia internazionale. Socialisti, autonomisti e separatisti abbozzano. Essi hanno capito la lezione del 1936, pietrificata nel Valle de los Caídos: monumento della Spagna “una, grande, libera”, punto di riferimento per chi, anche in Italia, ha il senso della storia. Se i moderati fanno il vuoto, vincono le estreme.

 

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