Nobiltà, eroismo e santità

di Plinio Corrêa de Oliveira

Nelle sue allocuzioni alla nobiltà e al patriziato romano, Pio  XII prende in esame il contributo che i laici sono chiamati a fornire ai sacerdoti, sale della terra e luce del mondo. Egli si riferisce specialmente al nobile, che occupa la posizione di maggiore spicco nelle file del laicato. Il Papa dà per scontato che il nobile sia pio e che dia quindi  il buon esempio. Quando il nobile parla, è come se lo facesse non dall’alto di un pulpito, ma dall’alto di cinquecento, ottocento, mille anni di tradizione. Se il nobile porta un nome celebre negli annali di un paese, quando egli parla è la storia che si manifesta per mezzo delle sue labbra. E quando egli è un buon cattolico, è la Fede che parla con  le labbra della  storia.

La nobiltà deve influenzare il paese. Come? Insegnando una delle arti più nobili che esista: l’arte del vivere. È l’arte del buon gusto, dell’ordine, delle buone  maniere, della distinzione, infine l’arte di elaborare un profilo umano che assume successivamente un carattere sociale. Non si tratta del profilo umano fisico, anatomico, ma del tipo umano. È un qualcosa che le famiglie aristocratiche modellano con la tradizione, plasmando un tipo umano che tutti vogliono imitare perché ritengono che sia così che si debba essere. Questa “distillazione” del tipo umano di ogni nazione è uno dei principali doveri storici della nobiltà.

Come Papa Pio XII afferma, sotto questo aspetto il nobile è un’immagine della Provvidenza divina. Così, impegnarsi nel mantenimento e, più ancora, nella restaurazione dell’aristocrazia è adoperarsi perché l’immagine della Provvidenza di Dio appaia più chiara agli uomini.

Tuttavia, la nobiltà raggiunge il suo vero apice nell’immolazione per il bene comune. L’elemento più importante della nobiltà non è quello di avere un bel nome, né quello di avere storia, né di possedere ricchezze e potere. Innanzitutto il nobile si distingue per un genere speciale di coraggio . La nobiltà vive per la Chiesa e per il bene comune della società. Essa vive per la difesa della Cristianità, per il combattimento, per la guerra, per il rischio e per l’avventura.

Cioè, l’avventura autentica: non un’azione sconsiderata, in cui l’individuo si getta senza riflettere. L’avventura è un rischio calcolato, in cui l’individuo si lancia perché vuol lottare per il bene per cui vive, ossia, in questo caso, la Chiesa e la civiltà cristiana.

Il nobile non ha la vita confortevole del borghese. Egli vive per una causa immensamente più grande di se stesso, che ammira e della cui grandezza egli in qualche modo partecipa proprio in virtù della sua ammirazione. Perciò il nobile affronta la morte, conscio che nell’olocausto egli realizza una sorta di unione con ciò che ammira. Il che è sopratutto vero trattandosi di cause sante, poiché la suprema forma della bellezza e della nobiltà è la santità.

Tutto il profilo morale del nobile cristiano si definisce in funzione dell’eroismo, che può giungere fino alla morte, accettata volontariamente come immolazione per il bene della collettività; una collettività amata per amore di Dio, una collettività intesa religiosamente, in una parola la Cristianità.

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