La fine dei Romanov e l’anemia dell’onore europeo

di Andrea Cerati
Delegazione di Lombardia “San Carlo Borromeo”

Poche cose colpiscono l’immaginazione come il tragico epilogo dell’epopea familiare della famiglia reale russa, vittime innocenti di una furia cieca e distruttiva, tesa alla conquista del potere da parte di una nuova idea di “civiltà”, un ennesimo universalismo teso alla distruzione delle gerarchie e di quanto di ancora naturale esisteva (e resisteva) ancora.  Da un evento così tragico, come fu un secolo e mezzo prima l’esecuzione della coppia reale francese, l’onore avrebbe richiesto una reazione, un moto d’orgoglio che spazzasse via l’errore (e l’orrore) della rivoluzione.

L’assassinio delle figlie di Nicola II, in particolare, va annoverato fra quegli eventi in grado di far ribollire il sangue di ogni uomo ancora sano, ancora in grado di opporre al devastante treno della modernità uniformante la spada della personalità e dell’amor proprio e altrui.

Così, se non in minima parte, non fu.

Vi furono atti di puro eroismo ed una disperata resistenza contro ogni probabilità, ma furono portati avanti da pochi, pochissimi, coraggiosi.  Il vessillo della Russia bianca continuò a sventolare per più di tre anni, sorretto dalle baionette di Kolčak e dalle sciabole di von Ungern Sternberg. Mancò, però, come nel caso della malnata rivoluzione in terra francone, un vero moto d’orgoglio, in grado scatenare una vera controrivoluzione, ancor più terribile e completa della rivoluzione.

Sintomo che più di ogni altro descrive l’asfissia nella quale la società tradizionale d’occidente versava almeno da due secoli e mezzo. Come opporsi, quindi, all’avanzata dello sfacelo che oggi come, se non più di allora, minaccia quanto di vero vi è in questa terra di mezzo?

Con ogni mezzo, la lotta deve essere spirituale, materiale ed estetica. La bellezza, in ogni epoca, è verità alla stato più puro.  Al bando la tiepidezza, quindi, è tempo che ogni cuore ancora saldo faccia sentire la propria voce!

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